Martedì, alle 20.50, sul pannello che indica il risultato delle votazioni alla Camera sono comparsi 183 no. La mozione presentata dal deputato dell’Upn (Unione del Popolo Navarro) Carlos Salvador, che chiedeva il ritiro del progetto di legge di riforma dell’aborto, è stata quindi respinta. Le previsioni davano una vittoria di stretta misura dei socialisti che, oltre ai loro 169 deputati, sarebbero riusciti a raccogliere in tutto 177 voti, uno in più di quelli necessari a respingere la mozione se tutti gli altri avessero votato a favore. Ma il gruppo socialista si è dato da fare e in particolare i sei deputati del Pnv (Partito nazionalista basco) hanno votato no.



La presa di posizione del Pnv è stata molto significativa. I nazionalisti baschi, che hanno tolto l’appoggio ai socialisti da quando Patxi Lopez è stato sostituito al governo di Vitoria, si sono mostrati disposti a votare con Zapatero sulla questione dell’aborto. La secolarizzazione del Pnv è evidente: non pensano che prendere posizione a favore della cultura della morte possa infastidire i propri elettori, quello che conta per loro è la “patria basca”.



Non si può pensare che il risultato della votazione di martedì rifletta come una fotografia la situazione sociale del nostro paese. Non si può dire che la foto del pannello con i 183 voti contrari rifletta la mentalità della Spagna del 2009. Se i socialisti avessero lasciato libertà di voto, probabilmente alcuni di loro avrebbero votato sì. Tuttavia anche alcuni popolari avrebbero votato no. In ogni caso la votazione di martedì dimostra che la legge non ha consenso né politico né sociale.

Ma con realismo, e senza entrare nell’inutile discussione su quale posizione sia maggioritaria, bisogna riconoscere che lo zapaterismo su questo tema poggia su una sensibilità diffusa per la quale il valore della vita ha smesso di essere evidente. Di fronte a questa situazione è inutile lamentarsi dell’atteggiamento dei partiti politici. Una relazione tra la società civile che sostiene la vita e i meccanismi complessi e autoreferenziali della politica non si improvvisa dalla notte al mattino.



Bisogna anche riconoscere, e questa è la cosa più importante, che i motivi per cui la vita può essere affermata, sostenuta, desiderata e accompagnata dal concepimento fino alla sua fine naturale hanno smesso di essere evidenti per molti. Occorre un cambiamento culturale. Per affermare il valore della vita serve un’educazione, esistenzialmente incidente, in cui i motivi per portare avanti una gravidanza indesiderata o per affrontare il gran sacrificio di una malattia terminale siano di nuovo evidenti.

Educando ci educhiamo, senza dare nulla per scontato. Si tratta, in fondo, di recuperare un gusto per la vita così profondamente umano e così ragionevole che ci permetta di affermarla quando non siamo in grado di controllarla. Non nei comunicati o nei discorsi, ma nelle case di accoglienza, nei luoghi dove le madri decidono, negli ospedali, ai piedi dei letti dove i malati soffrono. Nella nostra storia c’è stato un Dio che si è fatto carne e che ci ha insegnato a godere così della vita, in un’obbedienza al Mistero che la realizza sempre più di qualsiasi sogno di autonomia.