Le intenzioni di Manuel Zelaya (nella foto), il presidente dell’Honduras deposto domenica dall’esercito del suo Paese, sottintendevano una minaccia. Ispirato e appoggiato dal presidente venezuelano Hugo Chávez, aveva convocato per domenica un referendum per riformare la Costituzione e restare al potere. Zelaya voleva ricorrere al metodo utilizzato dal regime chavista in Venezuela: le istituzioni democratiche restano formalmente vive, ma vengono utilizzate per creare un sistema personalistico che progressivamente limita le libertà.



In diversi paesi dell’America Latina, i partiti tradizionali sono andati delegittimandosi e sono comparsi leader molto poco democratici che alimentano la divisione sociale per instaurare un dittatorismo di nuovo stampo. È il cancro del chavismo che si estende e che istituzionalmente si è aggregato nell’Alba (Alternativa Bolivariana per le Americhe). Nell’agosto dell’anno scorso Zelaya ha integrato Honduras in questo club, controllato da Hugo Chávez a cui partecipano Nicaragua, Ecuador, Bolivia e Cuba. Il referendum convocato da Zelaya era una copia dei due convocati da Hugo Chávez con lo stesso obiettivo: nel dicembre del 2007 lo aveva perso, ma la ripetizione nel febbraio del 2009 gli ha dato la vittoria.



Non sappiamo cosa sarebbe successo domenica se gli honduregni avessero votato in una consultazione che il Parlamento ha dichiarato illegale. Zelaya, a differenza di quanto succede in Venezuela, non è riuscito a trasformare l’esercito «in una forza di occupazione all’interno del suo stesso paese», secondo la definizione data da Teodoro Petkoff. Questo ha provocato la sua rapida espulsione.

Il procedimento usato non è quello adeguato, come hanno sottolineato tanto gli Stati Uniti quanto l’Ue. Quelle di Venezuela e Honduras non devono essere viste come storie parallele. Hugo Chávez è riuscito a sopravvivere al golpe del 2002. La minaccia del populismo chavista che si estende nell’America Latina non si elimina con i golpe. È una falla profonda nel sistema democratico con profonde radici culturali che richiede una profonda riforma dei partiti politici, un cambiamento nelle classi dirigenti e in una società in cui le differenze sono di un’ingiustizia intollerabile. Serve anche un’educazione civica per il popolo che combatta la passività.