La protesta in Iran grazie ai mezzi di comunicazione dei social network è diventata un fenomeno globale, anche se il regime di Ahmadinejad è riuscito ad impedire che i media tradizionali documentassero quanto accade a Teheran. IlSussidiario.net ha raggiunto intellettuali e dissidenti in varie parti del mondo. Intervista il dott. Reza Aslan, professore e membro del Council on Foreign Relations negli Usa.



Dottor Reza Aslan, stiamo assistendo alla caduta della teocrazia iraniana? Ossia, non tanto che il regime stia per collassare, ma che l’ideologia fondante il governo iraniano, il Velayat-e Faqih (governo dei giuristi), stia per fallire perdendo la sua legittimità.

Prima di tutto penso che sia incorretto riferirsi all’Iran come a una teocrazia. In realtà la Repubblica Islamica è un sofisticato regime costituzionale che, almeno a livello di base, possiede tutte le caratteristiche di una democrazia. L’Arabia Saudita è invece un esempio di teocrazia. Ad ogni modo è assolutamente vero che gli avvenimenti recenti hanno sconvolto in profondità e definitivamente l’ideologia fondante il governo iraniano, creando un problema di legittimità e mettendo in crisi le leggi clericali. Quando la nuova Costituzione è stata emanata nel 1979 sono stati creati due governi paralleli. Un governo principale con forti poteri, eletto secondo la volontà popolare, e un governo non eletto per rappresentare la volontà religiosa. A partire dalla guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) grazie a un emendamento alla Costituzione, si è venuta a creare una situazione per cui il potere del governo religioso ha sovrastato completamente quello popolare. Quello che adesso il popolo e i manifestanti iraniani stanno rivendicando è che si ritorni alle origini della Costituzione della Repubblica Islamica, quando le decisioni del governo eletto incidevano davvero nella vita del Paese.



Dall’attuale sollevazione popolare contro i brogli elettorali, qualunque ne siano i risultati concreti, la repubblica islamica uscirà comunque svuotata della sua legittimità?

Dapprima, Ahmadinejad uscirà rafforzato da questi scontri, nel senso che in Iran stiamo assistendo a uno spostamento dal potere religioso verso quello militare. Ma il nodo della questione è che esiste una differenza tra potere e legittimità. Non c’è dubbio che sia Ahmadinejad che Khamenei hanno perso la loro legittimità di fronte al popolo e alla comunità internazionale. Ne è la prova, il dibattito in corso a Qom (città sacra dell’Iran, ndr) tra i religiosi che stanno cercando di deporre Khamenei.



Fareed Zakaria, affermato conduttore della Cnn, ha recentemente citato una sua dichiarazione sull’ultimo numero di Newsweek: “L’Iran si trasformerà nell’Egitto”. Cosa intende con questo paragone?

Quello che sta spingendo la grande maggioranza della popolazione e alcune alte figure della Repubblica, come Rafsanjani, Khatami e Larijani, a sostenere Moussavi contro Ahmadinejad è la netta comprensione che ciò che è avvenuto in Iran non è nient’altro che un Colpo di Stato. Tutti sono preoccupati che il collante del Governo diventi ora il potere militare e quello politico resti solo di facciata, proprio come in Egitto. Le Guardie rivoluzionarie stanno prendendo a mano a mano tutto il potere. Anche i Mullah sono terrorizzati da questo processo di militarizzazione.

Il Presidente Obama ha recentemente dichiarato che per l’Occidente, tra Moussavi o Ahmadinejad, non ci sarebbe una sostanziale differenza, in quanto entrambi concordano con la prosecuzione del programma nucleare a scopi militari e il finanziamento di Hamas ed Hezbollah in Libano e Palestina. Lei come risponde?

Credo che con questo commento Obama abbia commesso un errore, anche se pochi giorni dopo si è implicitamente corretto con alcune dichiarazioni. Sostenere che per noi non cambierebbe molto se Moussavi fosse Presidente al posto di Ahmadinejad è come dire che non c’è molta differenza tra Obama e McCain nel modo in cui supportano Israele. Entrambi vedono in Israele un alleato irrinunciabili, ma vi è una profonda differenza nel modo in cui portano avanti queste relazioni. Moussavi rappresenterebbe davvero una grande opportunità, con un Presidente come Obama, per aprire l’economa iraniana verso gli Stati Uniti e potenzialmente risollevarla. Sulla bomba atomica i rapporti della C.I.A evidenziano chiaramente che dal 2003 il programma nucleare iraniano per scopi militari si è fermato e non è più ricominciato. Bisogna inoltre ricordare che il Presidente dell’Iran non ha voce in capitolo su questo argomento e la Guida Suprema impone la sua decisione. È altrettanto vero che, oggi come oggi, nessuno può più impedire all’Iran di procedere con il programma di arricchimento dell’uranio. Anche Obama ha riconosciuto questa realtà. Quello che possiamo fare è fermare la ripresa dell’utilizzo militare di questo processo. Secondo tutti gli esperti e i servizi segreti, tranne quelli israeliani, ci vogliono ancora dai tre ai sette anni prima che l’Iran arrivi a possedere un ordigno nucleare. Sfortunatamente, avendo interrotto i dialoghi con l’Iran per tutto l’arco di tempo delle due passate amministrazioni, gli Stati Uniti hanno regalato all’Iran ben otto anni per continuare tale arricchimento. Abbiamo ancora molto tempo per dialogare con l’Iran, ma ora che Ahmadienjad ha perso completamente la sua legittimità sarà molto più difficile per Obama intavolare un dialogo proficuo.

Comunque andrà a finire questa fase della protesta iraniana, si avranno ripercussioni sugli equilibri in Medioriente?

L’Iran è indubbiamente una nuova superpotenza in Medioriente. Possiede un’enorme influenza in Iraq, in Afghanistan, sul Libano e la Palestina. Gli obiettivi degli Stati Uniti nel Medioriente, il ritiro delle truppe dall’Iraq e la pace tra Israele e Palestina, non sono raggiungibili senza il consenso del governo di Teheran. Solo un accordo con l’Iran può preservare la sicurezza di noi tutti. Ora sarà alquanto difficile realizzare il complicato piano di stabilizzazione americana per il Medioriente. L’Iran continuerà a sponsorizzare Hamas e Hezbollah fino a quando si sentirà minacciata da un attacco israeliano. Con una vittoria di Moussavi sarebbe stato molto più facile convincere Israele che non ci sarebbe stato da temere un attacco da parte iraniana.

Pensa che la protesta studentesca possa riprendere con più vigore in autunno?

La sollevazione sta continuando, ma in autunno si rafforzerà. Probabilmente con l’occupazione di alcune facoltà universitarie e con l’organizzazione di scioperi. Siamo molto lontani dalla fine della protesta. La rivoluzione iraniana del 1979 era iniziata nel Gennaio del ‘78 con molti alti e bassi. Ci è voluto un anno prima che riuscisse a vincere.

La variegata composizione etnica della popolazione iraniana potrebbe influire sulla situazione attuale?

I curdi al Nord e i sunniti al Sud negli ultimi dieci anni hanno indubbiamente contrastato le autorità e creato seri disturbi al governo iraniano. Stranamente, durante queste proteste le minoranze etniche non hanno agito. Se inizieranno a unirsi alle proteste, e ci sono molti dati che indicano che questo potrebbe accadere, sarebbe davvero un problema per il governo che si troverebbe impegnato su due fronti.

(Mattia Sorbi)