A volte dichiararsi “cristiano” può essere causa di persecuzione. Ce lo racconta la cronaca estera che anche la scorsa settimana ha presentato l’ennesimo atto crudele: l’esecuzione nella stretta osservanza della sharia di sette persone che sono state decapitate perché accusate di essere cristiane e spie ad opera di estremisti islamici somali, ricollegabili ad Al Qaeda. Questa ennesima intimidazione avvenuta a Baidoa si avvale dello spargimento di sangue innocente per far desistere l’uomo che ricerca la fede e rappresenta ancora una volta non solo una grave violazione dei diritti umani, ma dimostra nuovamente le continue persecuzioni ostili e barbare che si perpetrano ogni giorno nei confronti dei cristiani in molte parti del mondo.
In Somalia negli ultimi mesi si sono verificati violenti combattimenti tra insorti e truppe governative che hanno coinvolto l’area nord di Mogadiscio. Fonti ufficiose, calcolando il periodo che va da oggi al maggio scorso, parlano addirittura di 350 morti, non contando però che si combatte anche nel centro e sud del Paese. Dall’Alto commissario Onu per i Diritti umani, è giunta la denuncia di gravi violazioni alle leggi internazionali umanitarie, di violenze perpetrate a danno di donne e bambini, in particolare con proclami anticristiani.
Ciò rientra nella strategia – che è un vero e proprio progetto di potere – della rete di Al Qaeda a farsi Stato che si muove con l’intento di farsi più che stato, addirittura califfato surrogando in questo modo le tante crisi dei paesi musulmani, creando delle zone franche in cui non valga l’autorevolezza della comunità internazionale, ma il diktat dei terroristi. Questo è un fatto di una pericolosità enorme, perché passa attraverso una strategia che cerca di annientare l’uomo che ha una fede diversa da quella che si possiede, che ha diverse convinzioni. Ma ancor più, tutto ciò è strumentale, perché attraverso questa logica si attua invece la prepotenza di reti che non sono differenti dalle nostre reti mafiose.
Occorre pensare seriamente a un intervento armato della comunità internazionale che sia capace di riportare su quel territorio i dettami minimi di rispetto dei diritti umani e soprattutto convinca gli Stati africani, attraverso l’Unione Africana, ad assumersi una responsabilità. Abbiamo responsabilità gravissime nei confronti di un Paese come la Somalia che è stato abbandonato nel momento del bisogno.
Questo si è tradotto in una instabilità che ha fatto comodo a tantissimi, perché destabilizzare quell’area vuol dire destabilizzare un’area in cui è basilare la geostrategicità dei luoghi: pensiamo al controllo del passaggio verso il Mar Rosso, all’interlocuzione con i fenomeni di portata mondiale che avvengono nel Golfo, punto di riferimento del Corno d’Africa e più in basso dei Grandi Laghi.
Tutto ciò significa, in qualche modo, mantenere innescata una polveriera che finisce per avere ripercussioni sugli equilibri non solo del continente africano, ma di quella stranissima partita a “scacchi” che da moltissimi anni si combatte prendendo in ostaggio l’Africa e a dispetto dell’Africa stessa. Più che di una comunità internazionale che si è distratta, parlerei di intrecci nella comunità internazionale che hanno gravissime conseguenze per la vita della gente di quest’area. E le ripercussioni di queste logiche geostrategiche finiscono per essere poi scontate dagli ultimi poveri e, tra questi, gli ultimi degli ultimi, che in questo caso sono i cristiani.
Questa violazione dei “diritti umani fondamentali” nega nell’uomo il vero carattere antropologico ed esistenziale. Senza questo riconoscimento viene meno il fondamento di tutto ciò che il mondo chiama civiltà. Alla luce di questi fatti si comprende facilmente come la salvaguardia della libertà di religione, di una libertà che da sola garantisce una piena realizzazione della dignità umana, diventi sempre più urgente.