“Momento-chiave”. “Punto di svolta”. “Passo decisivo”. In America le definizioni si sprecano per cercare di trasmettere in pieno l’importanza che questo scorcio d’estate riveste per il futuro della presidenza di Barack Obama. E’ un fine luglio rovente e sarà con ogni probabilità un inizio d’agosto altrettanto intenso a Washington. La Casa Bianca ferve d’attività come se il tempo delle vacanze fosse una faccenda che non tocca la capitale statunitense: il presidente la notte scorsa vi ha tenuto una conferenza stampa da grandi occasioni, per cercare di farsi ascoltare dal numero maggiore di americani possibile.
Una frenesia che ruota tutta intorno a una gigantesca sfida, la più grossa che Obama abbia deciso di affrontare da quando, nel febbraio 2007 a Springfield (Illinois), lanciò una candidatura alla presidenza degli Stati Uniti che all’epoca pareva un’impresa impossibile. Stavolta, Obama cerca di riformare il sistema sanitario americano, garantire la copertura medica ai 46 milioni di cittadini degli Usa che ne sono ancora sprovvisti e – più in generale – prova a realizzare una rivoluzione già tentata (invano) prima di lui da quattro presidenti democratici e un repubblicano: Truman, Johnson, Nixon, Carter e Clinton. Ciò che più sorprende esperti e osservatori è il fatto che Obama, come non ha mancato di sottolineare il suo capo dello staff Rahm Emanuel, dopo sei mesi di presidenza è già arrivato più vicino al traguardo di ciascuno dei cinque predecessori.
I gruppi di interesse che in passato hanno fatto naufragare ogni tentativo di cambiare la sanità americana, stavolta sembrano seriamente impegnati a salire a bordo della barca del presidente. Grandi compagnie assicurative, catene ospedaliere, giganti farmaceutici: uno dopo l’altro, tutti i protagonisti hanno fatto in questi mesi concessioni. La Casa Bianca è riuscita così a spingere verso il Congresso un piano che prevede un gigantesco programma assicurativo sanitario gestito dal governo, pronto a competere con le assicurazioni private, insieme a una raffica di misure per abbassare i costi della sanità a tutti i livelli e permettere cosi’ di estendere la copertura anche a chi oggi non se la può permettere.
Ma giunto a un passo dal possibile successo, Obama si è trovato a fare i conti con un Congresso nel quale anche una buona parte dei membri del suo partito sono esitanti. E’ difficile far digerire una riforma che fa impallidire anche iniziative colossali come quelle a cui la Casa Bianca ha costretto nei mesi scorsi le due camere a seguirla, come il maxi-piano di stimolo da 787 miliardi di dollari o i costosissimi interventi per salvare colossi di Wall Street o dell’industria dell’auto. A rendere pericolosa la sfida, però, sono soprattutto i segnali che arrivano dall’opinione pubblica, che nei vari sondaggi continua a esprimere un concetto molto chiaro: Obama piace molto di più delle sue idee e proposte politiche. Il presidente è sceso sotto il 60% dei consensi nei sondaggi, e in tema di riforma della sanità sono meno della metà gli americani pronti ad appoggiarlo.
A leggere i sondaggi, sembra di capire che Obama sta cercando di forzare un’America che non pare avergli dato un mandato per un intervento di così vasta portata. I repubblicani, in crisi di consensi e di idee, hanno fiutato sangue e hanno mandato avanti uno di loro, il senatore della South Carolina Jim DeMint, a dichiarare che la sanità sarà “un momento Waterloo” per il presidente.
Gli strateghi della Casa Bianca, guidati da David Axelrod, hanno reagito con la tattica che ha portato Obama dove si trova adesso: si sono cioè lanciati nell’ennesima campagna di pubbliche relazioni mirata a far dialogare il presidente direttamente con la gente, scavalcando i filtri di media, compagni di partito o esperti vari. Da qui la decisione non solo di convocare la conferenza stampa della notte scorsa, nel ‘prime time’ televisivo, ma anche l’organizzazione in questa settimana di una serie di visite di Obama a ospedali e un ‘town hall meeting’ – un’assemblea popolare – in Ohio.
Funzionerà? Lo diranno i prossimi giorni, segnati da una corsa contro il tempo del presidente per convincere il Senato prima che chiuda i battenti il 7 agosto per la pausa estiva, ma caratterizzati anche da importanti eventi esterni. I dati sulla disoccupazione attesi per fine luglio, per esempio, saranno decisivi: se risulteranno migliori del previsto, dimostrando che la ‘cura Obama’ sull’economia sta dando i primi risultati, l’effetto psicologico si farà sentire sul Congresso e sugli americani. E Obama riuscirà a vendere assai meglio la sua ricetta per la sanità.



(Pietro Sordi)

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