È da poco finita la “due giorni” di lavoro del vertice Usa-Cina, che pare, oltre che sul piano economico, essere stata foriera di importanti novità anche a livello climatico e della sicurezza internazionale. Ora tutti parlano della formazione imminente di un “G2”, sulla spinta di quel dialogo strategico inaugurato con lungimiranza da G.W. Bush nel 2006. Quali novità porterà questo nuovo asse che di fatto, sostengono molti giornali e opinionisti, segnerà il passo della futura politica mondiale? Abbiamo chiesto a Francesco Sisci di commentare questo importantissimo evento
Cosa cambia dopo il vertice Usa-Cina? Perché Obama lo ha chiamato “dialogo del secolo”?
Il cambiamento portato in atto da questo vertice è definibile nei termini di una svolta quasi “teologale”, ossia ha cambiato i princìpi politici mondiali.
Questo nuovo rapporto tra Cina e Stati Uniti costituisce in qualche modo la base politica sulla quale si dovranno bilanciare le diplomazie, gli interventi e le politiche internazionali dall’inizio di questo secolo alla sua fine. In parole povere direi che i due paesi in questione stanno creando una sorta di condominio politico le cui regole saranno imposte a tutti gli abitanti della politica mondiale. È un esempio che dà la misura del cambiamento recato da questo vertice.
Tutti i giornali hanno dato ampio rilevo al vertice, parlando di “svolta”. Forse è una svolta solo per chi se n’è accorto adesso. O no?
In sé è ovvio che si tratti di una svolta. Comunque sì, è assolutamente un moto internazionale di cui una parte d’Europa e d’Italia si sono accorte solo adesso. In realtà alcuni giornali europei e italiani, come anche ilsussidiario.net, s’erano accorti già da un po’ di tempo dell’instaurarsi di un nuovo ordine nelle politiche fra Cina e Stati Uniti.
Ma solo pochi si sono resi conto che questo andamento era già in moto da mesi se non da anni. Anzi, a volerla dire tutta, aggiungerei che il presidente Obama non ha fatto altro che premere l’acceleratore su una politica già presente dai tempi di Bush.
Nel “parco giochi” dei vertici a formula variabile (G20, G8…), il G2, costituito da Usa e Cina, è indicato dagli analisti come il nuovo, vero duopolio mondiale. Chi è la prima vittima di questa facile, prevedibile convenzione ad excludendum?
L’Europa, senza dubbio. L’Unione Europea in senso lato e anche i paesi del vecchio Continente presi singolarmente. Tutti i membri dell’Unione sono di fatto superflui, non aggiungono né possono aggiungere nulla a questo rapporto e nemmeno ostacolarlo, ma dovranno seguire quello che sarà deciso fra Cina e Stati Uniti. Questa situazione è causata da tanti motivi. L’Unione Europea non è riuscita a creare un’unione politica, i paesi membri non sono riusciti a darsi una strategia che in qualche modo sia presente in maniera forte all’interno di questo nuovo imponente duo internazionale. Quindi direi senza dubbio che come attori della politica internazionale tutti gli stati europei sono semplicemente superflui.
Quali cause, anche storiche, hanno portato a suo avviso l’Europa in questo vicolo cieco?
L’Europa non si è mai pienamente accorta in tempo del processo in atto. Se se ne è accorta lo ha fatto a poco a poco, male, in maniera distratta. L’unico paese che abbia mai preso coscienza e abbia “reagito” alla crescita della Cina è la Germania che ha sviluppato tutta una sua politica economica, che peraltro ai tempi era doppia (riunificazione e investimenti), verso la Cina. Oggi la Germania rappresenta da sola oltre la metà dell’interscambio europeo con Pechino. Però si tratta pur sempre di una strategia individuale, solo tedesca e non certamente europea. Nel senso che in Cina le aziende tedesche non sono mai state abituate a fare gruppo con gli europei, anzi hanno sempre fatto concorrenza agli italiani, ai francesi e via dicendo. Inoltre quella tedesca è stata fino a poco tempo fa una politica essenzialmente commerciale, priva di vere ambizioni politiche e con obiettivi non lungimiranti, ma protratta solo per l’arricchimento delle proprie aziende. Questo modo di fare è rimasto in gran parte tutt’ora in Europa.
Gli effetti sono precipitati aggravati anche dal fatto che, proprio mentre il nostro continente si stava per la prima volta avvicinando alla Cina con una certa serietà, la Francia è partita con la campagna per i diritti umani. Iniziativa ovviamente sacrosanta, ma poco utile in termini di reale avvicinamento politico.
Tenuto conto di questo panorama che margini operativi potrebbe avere l’Italia in politica estera?
L’Italia avrebbe bisogno di una rivoluzione copernicana. Deve riuscire a comprendere in primo luogo quanto l’Asia sia davvero fondamentale per il suo futuro e, in seconda battuta, capire con quale strategia possa giocare un ruolo in questo nuovo rapporto fra Cina e Stati Uniti.
In teoria, ma solo in teoria, l’Italia è il Paese che in Europa potrebbe ricavare il vantaggio più grande da questa nuova relazione fra Cina e Stati Uniti. Questo perché fra le due superpotenze è fondamentalmente anche l’instaurazione di un rapporto culturale poiché su questo terreno la differenza rimarrà ancora parecchia per molti anni, insomma la difficoltà a comprendersi culturalmente non sarà poca. Sotto questo versante l’Italia, storico ponte fra Asia ed Occidente potrebbe rivelarsi un punto di riferimento considerevole nell’avvicinamento reciproco. Per rappresentare questo importante ruolo il nostro paese ha però bisogno di una strategia ben pensata e strutturata, e non delle solite idee semplicistiche da applicare alla carlona. Se non si pone un lavoro di impostazione serio sotto questo aspetto anche i vantaggi culturali del Belpaese non riusciranno a portarlo molto lontano.
In un suo articolo su LaStampa ha scritto che «il sogno dei cinesi è di trasformarsi in americani». Il Sole 24 Ore ha riportato una citazione attribuita all’esponente del consiglio di stato cinese Dai Bingguo : «gli Usa non diventeranno mai la Cina e la Cina non diventerà mai gli Usa». Sulla prima parte possiamo essere tutti d’accordo. Tu che interpretazione dai della seconda?
Su questo punto occorre far chiarezza: i cinesi hanno voglia di cambiare e cambiare molto. In questa direzione molti di essi vogliono diventare “più americani”, è innegabile. Le trasformazioni della società cinese a questo proposito sono state enormi ed impressionanti. I cinesi hanno cambiato modo di vestire, di portare i cappelli, non hanno più le casacche maoiste, ma la giacca e la cravatta, non vivono più in case piatte ad un piano, ma in grattacieli, hanno cambiato anche la disposizione della casa. Soffermiamoci poi su un dato ancora più importante: l’ordine della famiglia. Da patriarcale com’era, dove cioè c’era un uomo con un certo numero di mogli e una “selva” di figli, ora, come in Occidente, si vedono famiglie monogame con uno o al massimo due bambini.
Sono cambiamenti straordinari avvenuti nel giro appena di qualche decennio. Certamente non si trasformeranno in americani ma lo saranno molto più di prima
È una volontà di cambiamento che si riscontra sia nel popolo sia nelle istituzioni?
Su questo intendimento c’è un rapporto non finto, non falso o propagandistico, tra la volontà popolare e la volontà della leadership. Faccio un altro esempio: l’introduzione dei Macdonald’s è un segno eloquente di questa comune visione. C’è ovviamente da aggiungere che le differenze fra le due classi ci sono. Il popolo è cioè più in preda a facili entusiasmi, mentre la classe dirigente si mantiene più fredda cercando al contempo di attuare un cambiamento e di pensare alla salvaguardia e al bene a lungo termine dello Stato.