Silvio Berlusconi è riuscito a risvegliare l’anima bacchettona dell’Inghilterra vittoriana.

Da settimane, ormai, gli scandalizzati quotidiani britannici, con un battage mediatico senza precedenti, pubblicano articoli al vetriolo contro le asserite intemperanze sessuali del premier italiano. L’inedita alleanza di femministe e bien pensant moralisti urla pubblicamente la propria indignazione contro l’inaudita mercificazione del corpo della donna.



I riflettori accesi sulle scappatelle berlusconiane, però, hanno fatto passare sotto silenzio le parole – quelle sì inaudite – rilasciate al Times dalla Prof. Lisa Jardine, Presidente della HFEA (Human Fertilisation and Embryology Authority) – l’autorità britannica che si occupa di embriologia e fecondazione umana –, la quale ha proposto di modificare l’attuale legge per consentire la possibilità di offrire denaro pubblico a donne disponibili a cedere i propri ovociti. Tutto ciò col nobile intento di risolvere il problema dovuto alla scarsità di donatori per le inseminazioni artificiali, e ignorando completamente la risoluzione del Parlamento europeo n.74 del 10 marzo 2005, emanata proprio contro il commercio di ovociti umani, in cui si afferma che «l’approvvigionamento di cellule non deve comportare pressioni o incentivi» e che «deve essere assicurata la donazione volontaria e gratuita di ovociti, in modo che le donne non diventino fornitrici di materia prima». In quella stessa risoluzione, peraltro, si denuncia pure il fatto che «la raccolta di ovociti comporta un elevato rischio medico per la vita e la salute delle donne, tra l’altro a causa dell’iperstimolazione delle ovaie».



Del resto, l’articolo 12 della direttiva 2004/23/CE, prescrive chiaramente che «un pagamento diverso dall’indennità per la donazione di cellule e tessuti in Europa non è accettabile e che cellule e tessuti in quanto tali non devono essere soggetti ad operazioni di carattere commerciale», mentre l’art.3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti, in quanto tali, una fonte di lucro, e la risoluzione dell’8 marzo 2005 (A/59/516/Add.1) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite fa esplicito riferimento alla necessità di impedire lo sfruttamento delle donne.



Così, mentre prosegue lo sdegnato martellamento mediatico contro la presunta frequentazione di prostitute da parte di Berlusconi, la HFEA propone ufficialmente la legalizzazione dello sfruttamento del corpo femminile mediante commercio di ovociti.

In tempi di recessione e crisi economica non è difficile prevedere, nel caso passasse la proposta della HFEA, frotte di ragazze proclamarsi “donatrici” a pagamento.

Donne disposte a cedere parte del proprio corpo dietro ricompensa.

Una sorta di meretricio di Stato con i soldi dei contribuenti.

Il termine prostituzione, in effetti, deriva etimologicamente dal verbo latino prostituere (“mettere in vendita o a disposizione”), composto da “pro” (a favore) e “statuere” (porre).

L’idea di far gestire tale mercato dall’autorità pubblica evidenzia la schizofrenia del moralismo peloso che sta intossicando il dibattito sulle vicende italiane nei media britannici.

Come si può considerare morale il fatto di acquistare una parte del corpo di una donna con soldi pubblici per le aberrazioni genetiche (ibridi uomo-animale, spermatozoi artificiali, ecc.) cui la HFEA ci ha abituato da tempo? E le femministe sempre pronte ad urlare contro ogni forma di sfruttamento economico del corpo femminile, non hanno davvero nulla da dire sulla proposta di un simile vergognoso mercimonio di ovociti da parte dello Stato?