Il discorso dl presidente Obama dell’altra sera è sembrato rappresentare quella ripartenza di cui ha bisogno la riforma sanitaria. Dopo tutto, anche l’arte di governare ha una sua “curva dell’apprendimento”. Il tentativo iniziale del governo di far approvare dal Congresso prima delle vacanze un corposo e ingombrante disegno di legge era destinato al fallimento. Questa tattica è stata usata anche dall’amministrazione Bush nei suoi ultimi barcollanti giorni prima della catastrofe. Anche quando si ha una ampia maggioranza in entrambe le Camere, è una buona idea cercare di costruire un accordo generale su argomenti così importanti: il presidente Clinton lo scoprì nel suo primo mandato. Speriamo che ora si possa procedere e varare quella riforma di cui il nostro Paese abbisogna, quella riforma a cui in teoria tutti sono impegnati. Questo significa differenziare tra fini e mezzi, così come dare ascolto alle preoccupazioni che emergono dai cittadini sui vari aspetti del dibattito.



La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti ha espresso sui fini da raggiungere una posizione articolata su quattro punti: 1. una politica di assistenza sanitaria realmente universale e rispettosa della vita e della dignità umana; 2. accesso all’assistenza per tutti, con una preoccupazione particolare per i poveri e con l’inclusione degli immigrati irregolari; 3. perseguimento del bene comune e mantenimento del pluralismo, incluse la libertà di coscienza e la diversità di scelte; 4. contenimento dei costi e loro equa distribuzione tra chi li deve sostenere.



Tocca ora al Congresso lavorare ad un compromesso su come raggiungere questi importanti obiettivi. Se il diritto alla salute è un diritto umano, perché non riconoscerlo anche agli immigrati clandestini, almeno per quanto riguarda i servizi medici di base?


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