Fra riforma della sanità, consiglieri che si dimettono, elezioni dal risultato dubbio in Afghanistan e molti segnali di un pacifismo di ritorno, il presidente Usa sembra non disporre più di quel consenso incondizionato di cui godeva dai tempi della corsa alla Casa Bianca fino a pochi mesi fa. I tempi cambiano come le opinioni e quest’ultime, stando ai recenti sondaggi, sembrano confermare il venir meno del favore degli americani per l’operato di Barack Obama. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Lucio Caracciolo, direttore di Limes.
I giornali parlano di un cambiamento nell’opinione pubblica americana, che sembrerebbe non sostenere più Obama con lo stesso entusiasmo del dopo elezioni. Che cos’è successo in questi otto mesi?
In primo luogo questo cambiamento c’è eccome. È un fatto che il gradimento di Obama è sceso sotto il 50% per la prima volta. Le ragioni possono essere diverse, ma fondamentalmente il motivo principale risiede nel fatto che dopo otto mesi il carisma, per quanto sia forte, non può bastare a se stesso. Bisogna produrre fatti. E Obama dà l’idea di non produrne abbastanza. Questa sensazione, per un Paese come gli Stati Uniti d’America che si confronta con problemi drammatici di natura economica, ma anche di carattere strategico militare, non può non pesare nell’opinione pubblica. Un altro fra i maggiori problemi per il presidente consiste poi nel fatto di non avere un partito democratico sufficientemente coeso e forte a sostenerlo. Una situazione che minaccia di aggravarsi dopo le prossime elezioni di mezzo termine.
La situazione in Afghanistan pare complicarsi anche per le accuse di brogli elettorali nella lista di Karzai. L’Occidente aveva riposto molta fiducia nelle elezioni del paese in vista di una sua stabilizzazione, quali scenari prevede per l’immediato futuro degli americani in Afghanistan?
L’America è di fronte a un bivio. Da un lato può investire ancora in una partita che non è in grado comunque di vincere. Dall’altro può tirarsi indietro, con un dubbio ritorno d’immagine però. È una scelta difficilissima per Obama, direi drammatica.
In effetti il 51% degli americani, stando ai sondaggi, si dichiara contrario all’impegno delle truppe Usa in Afghanistan (è il 10% in più rispetto a un mese fa), a suo avviso quali saranno le scelte di Obama?
Penso che nel breve periodo opterà per un investimento limitato, intendo cioè un piccolo rinforzo di circa 20.000 uomini in più dispiegati sul territorio afghano e qualche finanziamento aggiuntivo. Poi credo che si comincerà nel medio periodo, fra sei mesi in avanti, con una sorta di disimpegno strisciante. L’esercito americano verrà con ogni probabilità concentrato sulle emergenze di sicurezza in Pakistan piuttosto che altrove considerando la partita afghana sostanzialmente non giocabile. Per quel che concerne questo improvviso aumento di percentuale delle persone sfavorevoli alla presenza di truppe in Afghanistan, credo semplicemente che sia la constatazione, da parte di un numero crescente di americani, che quell’impegno non merita le vite di tanti americani e anche di tanti civili afghani.
Lei è dunque assolutamente categorico nell’escludere la possibilità di un risultato positivo della presenza degli Usa in Afghanistan?
Direi di sì. Sinceramente non vedo che cosa si possa produrre di meglio sia per gli americani sia per gli afghani. È una guerra civile che a un certo punto sarà vinta o sedata solo ed esclusivamente dai protagonisti, ossia da coloro che abitano il paese. Gli americani e le forze della coalizione rischiano di fare solo da “baby sitter” all’interno di questa guerra civile.
In questo senso come interpreta le recenti elezioni, contestate appunto per i presunti brogli di Karzai?
Le elezioni sono state chiaramente una mascherata, una mascherata senza molto senso anche se le democrazie occidentali hanno cercato di dargliene uno. Sono a tutti gli effetti una pagliacciata perché quello afghano è un territorio dove non esiste praticamente lo Stato, dove i nove decimi della popolazione sono analfabeti e dove c’è una guerra che si protrae da trent’anni. L’idea stessa di concepire un processo elettorale in un territorio del genere è quanto meno curiosa se non cinica.
Tornando agli Usa. La riforma della sanità ha recentemente inasprito l’opposizione repubblicana nei confronti del presidente Obama. Che cosa ne pensa?
La riforma sanitaria in genere è la “tomba” dei presidenti degli Stati Uniti, o quanto meno il maggiore fallimento, e Clinton ne sa qualcosa. Le divisioni che esistono in campo democratico, fra una sinistra “classica”, per così dire, e la parte più moderata, sono tali da non permettere un sostegno efficace all’azione del presidente. Per questi motivi alla fine è probabile (e anche paradossale) che Obama si rimetterà ad eventuali intese con i repubblicani, piuttosto che contare sulla piena adesione dei democratici membri del suo partito.
L’ultimo “caso” politico sono state le dimissioni del consulente per l’ambiente Van Jones, anche per aver definito in passato l’11 settembre come un “complotto governativo”. Quali sono i sentimenti americani nei confronti dello staff del presidente?
Chiaramente Obama non può permettersi di ospitare nel suo gabinetto, in una posizione per altro cruciale, qualcuno che crede e sostiene che l’11 settembre sia stato un complotto degli Stati Uniti contro se stessi. È un provvedimento che fa presa anche nei sentimenti di molti americani, stanchi di sentir parlare di complotti. A ciò si aggiunge poi una ragione molto più cogente, che riguarda gli interessi di alcuni settori economici e in particolare energetici americani. Questi settori creano un clima nel quale una politica radicalmente verde, come quella espressa da Van Jones, non ha vita facile.
Vede dei contrasti di orientamento politico anche all’interno dello stesso staff di governo, come accadde all’epoca dell’amministrazione Bush?
Questo è fisiologico. Ogni staff di cui si circonda un presidente degli Stati Uniti è di per sé sempre pieno di idee e di contrasti. Poi sta al presidente stesso mediare e proporre delle soluzioni concrete. In questo bisogna dire che Obama sta facendo sicuramente del suo meglio, ma evidentemente non è abbastanza per convincere i suoi sostenitori americani.