Fiammetta Cappellini, cooperante Avsi ad Haiti, ci descrive ancora la situazione che si vive sull’isola colpita da un devastante terremoto due giorni fa. Il testo non è molto lungo, anche perché le comunicazioni via internet sono sempre più difficili (è quasi impossibile riuscire a inviare una mail). Fiammetta descrive una situazione ancora drammatica, ma dove arrivano anche piccoli segnali di conforto che aiutano la scelta di rimanere sul campo, nonostante l’offerta di lasciare Haiti per tornare in Italia.



L’ultima giornata l’abbiamo trascorsa prima a rintracciare il nostro personale nelle due bidonvilles Cité soleil e martissant; di alcuni non conosciamo ancora la sorte, mentre altri sono felicemente ricomparsi sani e salvi; purtroppo abbiamo avuto la prima certezza di una perdita tra le nostre file: Junior, un giovane mediatore comunitario. Era molto capace, sempre allegro.



Poi abbiamo lavorato alle emergenze, anzitutto quella sanitaria e quella igienica. I corpi, infatti, giacciono ovunque. A Cité soleil abbiamo allestito un primo tendone di accoglienza. I senzatetto sono innumerevoli. Iniziamo dai bambini, perduti, soli. Stiamo procurando altri tendoni, materassi, coperte e generi di prima necessità.

Cominciamo ad avere riferimenti nelle Nazioni Unite: abbiamo conosciuto la sorte di alcuni amici e colleghi e alcuni destini tragici. Il dolore è forte, pensare a quei volti ci mette grande tristezza. Abbiamo buone notizie dai Camilliani; Padre Gianfranco Lovera e i fratelli sono in piedi, il loro ospedale è pieno di gente.



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Una giornata tremendamente intensa, anche se complessivamente oggi la situazione pare essere stata meno caotica, forse perché abbiamo ritrovato alcuni punti di riferimento: la minustah è operativa. Non abbiamo visto episodi di sciacallaggio, ci pare che le persone siano shockate, sgomente, ma attente agli altri. Vedremo nelle prossime ore.

 

Dalla Farnesina ci hanno comunicato la possibilità di evacuare. Ora, non ci penso proprio. Guardavo il mio piccolo Alessandro. Chissà cosa lo aspetta. Ma la nostra grande speranza non crolla, anzi cresce. Affermare la vittoria della vita sulla morte  e ricostruire l’umano è ora il nostro compito qui.

 

Riportiamo di seguito il testo del resoconto inviato ieri da Fiammetta, in cui racconta, schematicamente ma con dovizia di particolari, la sua giornata.

 

 

14 gennaio 2010, Port au Prince, Haiti

 

 

Carissimi,

 

Ecco il riassunto della giornata di ieri, mercoledì 13 gennaio 2010, passata assieme al collega di AVSI Jean Philippe, di stanza a casa mia, perché la sua è crollata.

 

Ci siamo finalmente resi pienamente operativi. Obiettivo della giornata è stato valutare la situazione e vedere come utilizzare le nostre risorse. Siamo partiti di buonissima ora per sfruttare tutte le ore di luce, visto che non c’è corrente. In giornata abbiamo incontrato altre organizzazioni: Cis, Mrt, Unicef, Oim, Msf ospedale e capo missione, Ocha, e Onu base logistica.

 

Abbiamo cominciato da Citè Soleil, la bidonville nella quale lavoriamo con tante attività: educazione, alfabetizzazione, diritti umani, formazione. Qui abbiamo trovato una situazione disastrosa. Gli edifici di maggiori dimensioni sono crollati. Segnalo solo, per citarne qualcuno: la parrocchia, la scuola nazionale, la scuola cattolica Foyer Culturel, storicamente teatro di molte nostre iniziative. Tutto distrutto.

 

 

Il commissariato e il comune invece si sono salvati. Il nostro centro di appoggi o psicosociale è in piedi, ma danneggiato. Non è funzionale in questo momento, ma con pochi lavori potrebbe tornare a esserlo. Il numero di vittime a Citè Soleil è molto elevato, pur non essendo una delle comunità più toccate.

 

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Dopo 12 ore dal sisma, l’unico ospedale – che serve una popolazione di almeno 200 mila persone – non funzionava. Dentro, una sola infermiera, abbandonata a se s tessa, senza alcun materiale, senza un medico, con l’aria stralunata di chi cerca di cavarsela in qualche modo in un vero inferno. Nel cortile dell’ospedale, feriti gravissimi e moltissimi cadaveri, buttati sull’asfalto, in pieno sole. Vedeste quanti bambini, a volte senza un arto o con ferite così terribili da essere non identificabili al volto. Una cosa terribile. L’unica parola che l’infermiera ci ha detto, in quella stanza di morte, è stata: «un dottore, vi prego… ». Le abbiamo promesso che lo avremmo trovato.

 

 

 

 

 

 

A Citè Soleil non siamo stati in grado di trovare che circa il 30 per cento del nostro personale locale. Di un altro 20 per cento riusciamo ad avere notizie. Degli altri non si sa nulla. Moltissimi, quasi tutti, hanno vittime in famiglia o hanno perso la casa. Comunque il personale è disponibile, soprattutto i ragazzi. Sono bravissimi. In mezz’ora abbiamo potuto disporre di un’équipe di 18 persone.

 

 

Una prima valutazione: a Citè Soleil c’è ancora una situazione di emergenza. Credo sia necessario fare attenzione alla creazione di dinamiche di dipendenza dagli aiuti e a quelle legate alla crisi sociale/popolare per aiuti sensibili come il cibo. La situazione, già ieri, era molto tesa.

 

Ieri abbiamo lavorato sulla logistica per assicurare a Msf di poter funzionare.

Abbiamo aperto la strada tra le macerie, altrimenti gli aiuti non sarebbero mai arrivati. Abbiamo messo in piedi l’équipe, creato un minimo di spirito di squadr a e riconfortato gli animi dei nostri. Operativamente, abbiamo cercato di rendere possibile l’ingresso di Msf a Citè Soleil. Ora, hanno una squadra operativa e noi diamo un po’ di appoggio. Li supporteremo ancora uno o due giorni, per l’arrivo del cargo, per spostare la merce, poi, proseguiranno da soli. Abbiamo un briefing domani con loro per la questione cadaveri. Se si identifica un sito, ci s iamo offerti con le squadre per scavare, per seppellirli. Mi sono anche offerta di negoziare il sito con i capi banda, visto che la zona, come sapete, è tutta controllata da feroci bande armate.

 

 

Fatte queste due cose (assicurato l’ospedale e risolta questione cadaveri) possiamo attivarci per iniziative più di ricostruzione. Ecco quelle che ritengo prioritarie: aprire il centro come ufficio di appoggio; requisire i locali della vicina scuola OPJED (possiamo farlo, sono nostri partner) per fare accoglienza a famiglie senza tetto o per orfani; iniziare l’identificazione delle vittime legate al nostro sostegno a distanza (Al momento però nessuno dei tre partner sembra reperibile, nemmeno la coordinatrice Sherline); appena possibile distribuire kits da cucina per il cibo, pentole, taniche, vestiti, teli da usare tipo tende, mat erassini da campo, coperte leggere (pensavamo di usare le salviette Ikea che ci ha dato UNICEF). Chissà… 

 

Ci siamo poi spostati a Martissant, altra zona “feroce” di bidonville nella quale lavoriamo. Siamo andati dapprima all’ospedale Msf: un girone infernale. Due medici e dieci persone per centinaia e centinaia di vittime. Da non sapere dove mettere i piedi. Abbiamo visitato i nostri uffici, quelli delle basi locali dell’Unione Europea, Fed e centro appoggio UE3: non ci sono danni gravi, quasi nulla, i locali sono agibili e pronti all’uso.

Abbiamo lasciato messaggi scritti alle equipe, appuntamenti per i prossimi giorn i, indicazioni, ma nessun risultato. L’unica équipe in azione è il Fed. Hanno fatto il censimento per lo stato delle nostre scuole. A ieri pomeriggio su 8, due sono totalmente perse, 2 gravemente danneggiate.

 

Di tutta la nostra équipe qui a Martissant (15 persone + 15 mediatori) solo 5 assistenti sociali e un coordinatore sono reperibili e in grado di lavorar e. Da notare, comunque, che quasi tutti hanno riportato ferite lievi e hanno famiglie in mezzo alla strada. Ma hanno assicurato disponibilità a lavorare a tempo pieno.

 

A Martissant, la situazione è da ecatombe, specie in alcuni quartieri come Grand e Ravine, Descaiettes e TiBwa. Per la cronaca, la nostre casette Ocha hanno resistito. Molti feriti gravi non riescono a raggiungere gli ospedali. Molti bambini hanno bisogno di interventi urgenti di aiuto. L’ufficio Fed è diventato un naturale punto di appoggio, la gente che ha perso la casa si è radunata lì davanti.

E da questi che vorremmo cominciare. Pensavamo di aprire l’ufficio e adibire le sale ai bambini secondo fasce di età. Possiamo prenderne in carico fino a 250 contemporaneamente. Un’inezia, ma meglio di niente. Vorremmo istituire un servizio di accoglienza per bambini, in modo da dare ai genitori la possibilità di andarsi a cercare le proprie cose, o quel che ne resta, in casa. Cominceremmo anche a fare il punto su case distrutte, case da risistemare, orfani e bambini non acco mpagnati. Le priorità, appena possibile, sono le medesime di Citè Soleil.

 

Per Les Cayes, la zona a sud ovest dove sta il nostro Tito Ippolito, per il momento non ha avuto problemi, stiamo ospitando in casa e giardino altre organizzazioni.

 

Ecco la situazione di casa mia:

Carburante e generatore sono funzionanti, ho un autonomia di almeno 8-9 giorni a ritmo pieno, se razioniamo la corrente anche 2 settimane.

Cibo secco scorta per 4 giorni. Cibo fresco finito.

Acqua potabile: 1 giorno di autonomia. Ma possiamo trattare l’acqua della cisterna. In tal caso: massimo 10 giorni.

Gas cucina per una settimana

Benzina auto per tre giorni al massimo

No acqua corrente, ma acqua per lavarsi disponibile.

Urgenza: la comunicazione. Fateci arrivare quei benedetti satellitari.

 

Ciao, Fiammetta

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