Una storia degna di Collodi. E’ accaduta a Norwich in Gran Bretagna, ma non si tratta di Pinocchio. La protagonista è un’arzilla nonnina pensionata di 67 anni, Pauline Howe, che ha avuto la malaugurata idea di distribuire volantini a contenuto religioso contro l’omosessualità durante una parata gay, lo scorso 25 luglio. Immaginabile la reazione dei variopinti manifestanti che, sentitisi offesi, hanno aggredito verbalmente l’anziana pensionata.



La signora Howe, avendo ritenuto di aver subito un torto, si rivolge, da brava cittadina, alle autorità pubbliche per far valere i propri diritti e scrive al direttore generale del comune di Norwich, denunciando l’aggressione. Come Pinocchio, resta poi in fiduciosa attesa che la giustizia faccia il proprio corso.

Settimane dopo la denuncia, viene presa di soprassalto quando due police officers bussano alla sua porta. Gli agenti spiegano alla sconcertata signora Howe che la lettera da lei scritta rischiava di contenere espressioni omofobiche tali da integrare un “hate incident”, ovvero uno di quei casi che debbono essere attentamente indagati. Così, sottopongono la spaventatissima signora Howe ad un interrogatorio di 80 minuti, tanto da meritarsi un titolo ad effetto sul Daily Mail: «The English Inquisition».



Nella lettera contestata, l’ingenua pensionata, dopo aver accennato al fatto che i manifestanti avessero assunto «un atteggiamento verbale aggressivo e violento», ha voluto incautamente proseguire affermando: «Io ed altri cristiani non intendiamo intrometterci nella privacy delle persone né pretendiamo di impedire comportamenti offensivi nelle abitazioni private. E’ l’esternazione pubblica di una simile indecenza per le strade di Norwich che noi riteniamo offensiva nei confronti di Dio e di molti residenti di Norwich».

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La povera signora Howe, poi, ha osato utilizzare, nella prosa imprudente della lettera, espressioni derivate dal linguaggio biblico per descrivere le pratiche omosessuali, spiegando, infine, tutte le esiziali conseguenze di tali pratiche, dalla caduta degli imperi alle infezioni sessualmente trasmissibili.

Lo scorso settembre Pauline Howe riceve una lettera da Bridget Buttinger, vice direttrice generale del Comune di Norwich, con la quale viene avvertita della possibilità che le espressioni da lei utilizzate possano integrare estremi di reato. La zelante funzionaria spiega che l’amministrazione locale ha il dovere, come tutti gli altri enti pubblici, di «eliminare ogni forma di discriminazione».

Per tale motivo, precisa alla signora Howe la stessa funzionaria, «il contenuto della lettera è stato ritenuto discriminatorio a causa delle espressioni utilizzate nei confronti di alcune persone per il loro particolare orientamento sessuale», e quindi la stessa lettera è stata «trasmessa all’autorità di polizia».

Da qui la sgradita visita dei police officers che, come i due carabinieri di Pinocchio, si erano recati dalla povera signora Howe per notificarle il fatto che lei avrebbe potuto passare da denunciante a denunciata. Fortunatamente, pare abbia poi prevalso il buon senso, per cui nessuna incriminazione dovrebbe essere mossa alla sfortunata signora Howe.

 

 

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L’intervento delle forze dell’ordine, comunque, è parso talmente surreale – un episodio davvero collodiano – che lo stesso Ben Summerskill, il capo della potentissima lobby gay denominata Stonewall, – noto per non fare sconti a nessuno sul fronte dei diritti omosessuali – è arrivato a criticare l’intervento della polizia in questo caso, definendolo «disproportionate».

 

Il mio amico e collega avvocato Mike Judge, legale della signora Howe, intende ora valutare se siano ravvisabili nel comportamento dei funzionari comunali o dei poliziotti gli estremi della violazione del diritto di opinione e credo religioso protetti dal Human Rights Act. Mike Jugde, avvocato che si occupa principalmente di casi relativi alla libertà religiosa, ha commentato l’episodio della signora Howe precisando: «Affinchè un sistema democratico possa sopravvivere i cittadini devono essere liberi di esprimere le proprie opinioni, ancorché impopolari, ad una pubblica autorità senza il timore di sentire bussare la porta da agenti di polizia».

Un anno fa, durante un nostro incontro a Londra, Mike Judge mi aveva già confessato che in Gran Bretagna «it’s not a crime to be a Christian, but it increasingly feels like it». Non è ancora un reato essere cristiani ma lo si comincia sempre più a percepire come tale. Il caso Howe rappresenta un’ottima lezione per tutti i politicanti corretti che nel nostro Paese pretendono di discettare e legiferare sull’omofobia con la grossolanità di chi si ostina a non vedere il rischio che possa essere travalicato il labile confine tra l’offesa ed il diritto alla libertà di espressione e di credo religioso.