A Port au Prince sono arrivati i medici, Chiara e Alberto, e quasi non si sa da dove cominciare tante sarebbero le cose da fare subito. Ma non si tratta solo di guarire malattie o sfamare persone: sarebbe paradossalmente più facile. La vera fatica è prendersi cura, far sentire alle persone, a cominciare dai bambini, «che qualcuno si occupa di te». Il diario della giornata di ieri di Fiammetta Cappellini, cooperante di Avsi ad Haiti.



27 gennaio 2010, Port au Prince, Haiti

Oggi sono arrivati i rinforzi! Alberta, già nostra collega, che va a dare man forte ai nostri colleghi al sud, a Les Cayes, per gli arrivi dei rifugiati, e Simone, che a Natale si era trasferito in Africa… e ha voluto tornare qui per 2 mesi, salutare amici feriti, ritrovare le persone che aveva lasciato e lavorare nel luogo in cui aveva faticosamente costruito molto.



Simone sapeva dialogare con la gente di Cité Soleil, e a tutti i livelli. Aveva seguito anche l’attivazione di attività artigianali, corsi di formazione che poi erano sfociati nell’avvio di una panetteria, di un laboratorio per sandali di gomma, orti urbani. Tanto lavoro spazzato via. Ma le persone sono rimaste, e su questo rapporto ripartiremo. La presenza di Simone sarà preziosissima. E anche quella di Alberta.

Ieri siamo stati con i medici, Chiara Mezzalira e Alberto Reggiori, al campo. Hanno fatto un sopralluogo, al momento non c’è uno spazio per un ambulatorio. Non c’è una tenda sotto la quale non ci sia un bambino con problemi di salute: dissenteria, parassiti, denutrizione, disidratazione. La situazione pregressa, già critica, peggiora in questa desolazione. I fratellini più grandi accudiscono i piccoli intanto che le mamme fanno interminabili file alla distribuzione del cibo.



Oggi un altro piccolo passo avanti: abbiamo montato una tenda che ci ha offerto (insieme ad altre 14) la Protezione civile italiana: uno spazio per i bambini! Un risultato piccolo ma importate per rendere più umano questo campo. Uno spazio in cui raccogliere i bambini, organizzare le attività educative e quel che serve per iniziare ad affrontare il trauma è un primo passo fondamentale.

Per continuare la lettura dell’articolo clicca sul simbolo >> qui sotto

 

Poi avere un luogo per il medico, latrine, luci. Uno spazio per l’allattamento, uno spazio per l’alimentazione dei bambini. Insomma luoghi di ordine in cui ci si possa sentire amati, accuditi. Sentire che qualcuno si occupa di te. Poco a poco. Anche se vorresti la bacchetta magica. Invece devi organizzare, fare la richiesta, aspettare, dialogare per definire a chi consegnare, cioè dare priorità, consegnare, montare.

Stamattina Chiara e Alberto hanno riaperto l’ambulatorio dei padri scalabriniani. Le suore che lo gestivano son state richiamate dopo il terremoto. Appena si è diffusa la voce che riapriva, l’ambulatorio si è affollato. Mamme e bambini riempiono le sale d’attesa dei pochi poliambulatori presenti.

Oggi in Canada si è parlato di ricostruzione di Port au Prince e del Paese. Ma qui più che ricostruire occorre costruire. Ma le fondamenta di un Paese sono le persone. E qui le persone sono addolorate, affaticate e sfiduciate. Occorrono gesti concreti, anche piccoli, che permettano di consolidare la persona, che ricostruiscano l’umano. I cuori sofferenti si compattano intorno a gesti di attenzione e di cura.

E poi ripensare il paese e la sua capitale. Auspichiamo che si investa anche sul rilancio dell’agricoltura, sull’impulso alla trasformazione dei prodotti agricoli, perché si generi lavoro nelle aree rurali e si decongestioni la capitale che per la gente in cerca di fortuna si rivela inospitale.

Speriamo in prospettive che possano restituire dignità a questa gente. Noi non ci tiriamo indietro.

 

Fiammetta

 

Leggi anche

LA STORIA/ Renald, 10 anni e un albero piantato: così rinasce HaitiDIARIO HAITI/ Fiammetta: gli occhi pieni di speranza mi fanno vincere la fatica di ogni giornoDIARIO HAITI/ Il racconto: il dolore continua tra le macerie ma la carità lavora a luci spente