Caro direttore,

Una premessa. Quando Obama si candidò – e cominciò a infiammare l’America con le sue parole – tra i miei amici fui tra i pochi a guardarlo con simpatia. In una America che è sempre stata poco ideologica, Obama emergeva come una boccata d’aria fresca dopo la pesantezza e la latitanza del secondo mandato di Bush.



Nel tempo ho cambiato idea. Per brevissimi spunti provo a dirvi perché. Se c’era una cosa che temevo era proprio che una “Presidenza Obama” potesse portare il paese verso un approccio demagogico ai problemi, una sorta di social-democrazia in una paese che della social-democrazia non sa cosa farsene. Checché ne dica il resto del mondo che al nostro Presidente ha già regalato un Premio Nobel “preventivo”.



Tanto per cominciare considerate il pesantissimo intervento statale nei confronti delle istituzioni finanziarie. Cose mai viste dai giorni della grande depressione. Se è pur vero che lo scopo era evidentemente quello di salvare un sistema, la gente – la gente comune, compresi quelli che Obama l’avevano votato – è rabbrividita all’idea che venissero dati soldi a chi i soldi li ha sempre avuti. L’attuale stato di benessere delle suddette istituzioni, associato al fatto che le restrizioni sulle concessioni di credito alle piccole e medie aziende non sono cambiate, fa storcere la bocca a tanti.



Pensate anche all’operazione General Motor ovvero il Presidente degli Stati Uniti che per assicurare sostegno finanziario a un colosso privato ne richiede la sostituzione del capo supremo. Commento della gente comune (e degli “esperti” della CNN): “Ma dove siamo, in Russia?”.

Un secondo spunto, quello che qua si chiama “unemployment”, ovvero, l’assegno di disoccupazione. La normativa prevedeva che coloro che perdevano lavoro ricevessero un assegno settimanale di entità proporzionale a quello che era il loro salario. Tale beneficio – più che legittimo – aveva la durata di un semestre. L’Amministrazione Obama ha esteso la durata dell’“unemployment” portandolo a un anno e mezzo.

Ma chi è che paga? Il datore di lavoro. Ora, se si tratta delle suddette istituzioni finanziarie o della General Motor ok – i soldi sono arrivati dalla Stato. Ma se si tratta di ….me? Se si tratta dell’infinito universo di piccole e medie aziende di cui è costituito il business americano?

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Uno dei punti di forza del mercato del lavoro americano è sempre stato quello di poter licenziare e assumere senza timore alcuno (e per i dipendenti di potersene andare a cercar fortuna in qualsiasi momento). Che cosa introduce una mossa del genere? Tre cose: 1. Dal punto di vista economico introduce un gravame che molte piccole e medie aziende non sono in grado di sostenere. 2. Da quello del business un insabbiamento della naturale dinamicità del mercato del lavoro, sia perché adesso il datore di lavoro ci penserà più volte prima di assumere qualcuno e perché l’ex dipendente invece di “sbattersi” alla ricerca di qualcosa che lo rimetta in moto comincia ad accontentarsi dell’assegno settimanale che riceve e …aspetta. 3. Da quello sociale infine questo cambiamento introduce un “principio di inimicizia” completamente estraneo alla cultura americana. Inimicizia tra datore di lavoro e dipendente, perché gli interessi non coincidono più, il benessere dell’uno entra in conflitto con quello dell’altro. E un datore di lavoro si guarderà bene dal riassumere un dipendente che gli è pesato economicamente per un anno e mezzo. Questa è una logica “sindacale”, in un paese dove i sindacati mantengono una quota del 7% (scarso) della forza lavoro.

 

C’è poi il tema di cui parlano tutti (spesso a sproposito), la riforma sanitaria. È vero, la sanità Americana è un problema drammatico, che io stesso vivo in prima persona pagando cifre sconsiderate e ricevendo pochissimo. Obama ha presentato la sua proposta, ma in verità siamo ancora in alto mare sebbene il Senato abbia dato la sua approvazione. Non ci sono i soldi, non ci sono le strutture e secondo tantissimi esperti (anche quelli della CNN che non sono certo repubblicani) in verità gli americani che potrebbero veramente beneficiarne non saranno più di 4 milioni.

 

Allora? Allora – si potrebbe dire – è un primo passo! No, sfortunatamente mi trovo completamente d’accordo con David Brooks che una settimana fa spiegava dalle colonne del NY Times che questo non è un piano implementabile. È un piano, punto. Inoltre – a detta di tutti – il gravame sui piccoli datori di lavoro sarà insostenibile. Se poi i miei amici medici, quelli che vivono questo problema sul campo quotidianamente, mi dicono che si tratta di una drammatica burla, beh, io credo più a loro che a Obama. Ma Obama questo passo deve portarlo a compimento. L’approval rate è bassissimo, bisogna “far vedere” che si conclude qualcosa di “storico”.

 

Finisco con la guerra. Pensate solo a questo: se George W. Bush avesse mandato altri 30.000 soldati in Afganistan l’avrebbero crocefisso. A Obama hanno dato il Nobel per la Pace. Ha fatto un bellissimo discorso – è vero – ma i fatti sono i fatti e non possono essere giudicati solo in base al colore della parte da cui vengono.

 

C’è ancora tempo per Obama per dimostrare che quello che ha a cuore, quello che persegue, sono gli ideali di cui questo paese è fatto: vita, libertà e ricerca della felicità. C’è ancora tempo per la sua Amministrazione per provare che quel che persegue non è solo un consenso demagogico-ideologico. C’è ancora tempo, ma non c’è più tempo da perdere.

 

Riro Maniscalco