E’ caduto il muro omertoso del politically correct: la sterzata di Angela Merkel sul fallimento del modello multiculturalista tedesco ha scosso il dibattito politico europeo. L’Italia ha una morfologia dei migranti molto diversa da quella tedesca, francese o inglese, con una tradizione spesso legata al loro passato coloniale.
Si tratta, in Italia, di un’immigrazione giovane, giunta alla seconda generazione su cui è possibile lavorare bene per promuovere un’integrazione reale lontana dalle derive identitarie che hanno portato il Regno Unito a dare l’ok all’istituzione di una novantina di corti sharitiche che regolano gli arbitrati affidandoli a una giurisprudenza parallela che non riconosce il principio di uguaglianza e i diritti umani. Nonostante Cameron abbia indicato l’Inghilterra come esempio virtuoso di integrazione, il modello inglese è più di tutti quello intaccato dalla macchina messa in moto dal senso di colpa culturale dell’Occidente che ha scatenato il laissez faire buonista.
I maggiori problemi sul versante dell’integrazione, l’Europa li affronta con una fetta rilevante dei suoi immigrati: gli arabo-musulmani. A partire dagli anni Novanta, in Italia, si è fatto avanti un certo estremismo – diffuso da numerose moschee, spesso fai da te – che, unito alla mancanza di una strategia politica strutturata e solida nella gestione di questi flussi, ha iniziato a radicalizzare gli immigrati musulmani, facendo leva sul vuoto identitario, da una parte, e attecchendo nei ghetti comunitari, dall’altra, secondo un preciso disegno politico.
Si tratta di ciò che il politologo Eisenstadt ha definito “una politica giacobina totalitaria rivestita di Islam”, che Barbara de Poli, nel suo libro “I Musulmani nel Terzo Millennio – Laicità e secolarizzazione nel mondo islamico” ha descritto come ciò per cui “i movimenti islamici non propongono il trasferimento dei valori religiosi nella politica, ma la politicizzazione e la reificazione dell’Islam che (…) nel percorso radicale perde la sua natura di religione per trasformarsi in ideologia”.
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I governi dei Paesi di provenienza, come il Marocco, sono preoccupati delle derive che hanno preso piede in Europa, ben conoscendo il pericolo dell’estremismo. Hanno così iniziato a finanziare attività di controllo sulle moschee, arrivando a inviare imam competenti dai Paesi di origine per arginare la diffusione di quelli fai da te. Ora, il fatto che la Germania abbia aperto gli occhi su un fenomeno che da anni denunciamo e abbia deciso di foraggiare il progetto dell’università di Osnabrueck teso a formare gli imam secondo i valori democratici del Paese, dell’integrazione e della tolleranza religiosa, deve essere accolto positivamente. L’Europa si è d’un tratto accorta del grave pericolo che corre.
In Italia oggi esistono più di mille moschee, una costellazione formata per lo più da piccoli edifici, spesso fai da te, in cui passa di tutto: la cronaca recente e meno recente ci ha fornito fulgidi racconti di terroristi, o simpatizzanti tali, transitati all’interno di quei circuiti abbandonati a se stessi, privi di controllo e regolamentazione, humus in cui nasce e prende corpo una visione integralista dell’Islam che si sostanzia in sermoni che incitano all’odio, all’intolleranza, al martirio specie nei giovani che sono marginalizzati, poco o male integrati, prigionieri dei propri ghetti e della paura.
Le prime vittime di questo multiculturalismo sono le donne: su di loro viene giocata la partita politica che alimenta il rancore tra civiltà, annulla i diritti conquistati, oscurando i traguardi civili guadagnati, usando violenza, imponendo la segregazione e l’annullamento fisico e psicologico. In un’Europa fino ad oggi complice, l’indifferenza si è travestita da tolleranza per scaricare le sue responsabilità e nascondere un’incapacità di fondo nel mettere a fuoco problemi e soluzioni, trasformando queste donne in vittime di una doppia discriminazione. Oggi il vento sembra essere cambiato, sdoganando la frustrazione di un passato coloniale per riaffermare i valori dell’Europa. al riparo dell’avanzata estremista.