Mentre i media corteggiano i minatori tratti in salvo in Cile, cominciano ad emergere dettagli su cosa sia successo davvero a settecento metri di profondità. ‘Los 33’ hanno stretto un patto del silenzio, giurando di non rivelare mai cosa sia accaduto nei primi angosciosi giorni di prigionia, quando ancora non sapevano che sarebbero stati salvati, ma ora davanti alla pressione dei media qualcuno ha parlato.
“Sono stato con Dio e con il diavolo. Hanno litigato per avermi. Dio ha vinto, io ho preso la sua mano, la migliore. Non ha mai vacillato la mia certezza che Dio mi avrebbe tirato fuori”: Sono le parole di Mario Sepulveda, secondo minatore estratto dalla miniera di San José. Parole belle che testimoniano la profonda fede che ha accompagnato molti dei minatori sepolti vivi per circa 70 giorni, ma che testimoniano anche la paura, il terrore, la sfida con la morte che ha accompagnato l’avventura dei “Los 33”.
Per settimane la televisione ci ha raccontato la favola bella di un gruppo di eroi che sono riusciti a sopravvivere a condizioni in cui ben pochi avrebbero potuto fare altrettanto. Non era in realtà una favola, è stata una storia terribile di lotta per la sopravvivenza dove la fede e il coraggio hanno fatto la differenza. Una storia di uomini che si facevano forza tra di loro, con atti di solidarietà e di condivisione che hanno commosso il mondo. Ma in realtà, cosa sia successo là nelle viscere della terra lo sanno solo ora. E qualcuno comincia a raccontarlo.
Il quotidiano spagnolo El Pais ha scritto che cinque dei 33 minatori lavoravano per una società diversa da quella degli altri, per questo avrebbero fatto un gruppo per conto loro progettando una via di fuga separata da quella degli altri. Queste cose sarebbero successe nei primi giorni quando ancora non si sapeva se si sarebbe riusciti a portarli in salvo. In uno dei primi video trasmessi dalla miniera, non appaiono proprio questi cinque minatori.
Osman Araya, uno dei minatori, avrebbe poi detto al fratello di veri scontri fra tre gruppi in cui si sarebbero divisi i minatori, scontri motivati da ragioni di spazio vitale. "Si erano divisi in tre gruppi perché litigavano – ha detto un altro lavoratore della miniera di San Jose – ci sono state delle scazzottate". Quale il motivo di questi scontri? "Questo fa parte del patto" ha risposto. Quale patto?
Quello che si sapeva è che i 33 minatori avevano organizzato le gallerie che avevano a disposizione per scopi diversi. Una galleria era la latrina, un’altra la palestra per tenersi in forma, poi c’era anche la galleria per i fumatori. Dopo alcuni giorni infatti insieme al cibo erano state loro fatte avere sigarette. All’inizio solo pasticche di nicotina che l’aria lì sotto era un bene prezioso poi sigarette vere. Il famoso video telefono con cui si collegavano ai parenti in superficie, era stato posto in un angolino riservato. Perché nessuno potesse vedere le lacrime di commozione di chi stava parlando con moglie o figli.
Ed è proprio Mario Sepulveda, soprannominato Super Mario, quello che ha deciso per primo di raccontare cosa sia successo in quei giorni all’inferno. rilasciando una intervista in esclusiva mondiale con l’inglese "Daily Mail". Lo ha fatto rompendo così il “patto del silenzio” che avevano stipulato. “Certe cose vanno dette. Voglio che il mondo sappia la verità di quanto è successo là sotto. Siamo stati ingoiati dalle fauci dell’inferno ma siamo rinati e adesso sento che è mio dovere dire cosa è successo e le lezioni che ho imparato”.
Soprattutto, Mario vuole che si sappia la verità di quanto successo laggiù, adesso che su certa stampa cominciano a circolare i gossip e i pettegolezzi anche di peggior gusto, ad esempio quello del cannibalismo. Sepulveda ha celebrato il suo quarantesimo compleanno là sotto, il 4 ottobre. Non deve essere stata una gran festa: “Quando qualcuno non ce la faceva più, raccontavo barzellette e facevo lo stupido. Ma a volte veniva da piangere anche a me. Allora mi allontanavo in una delle gallerie per non farmi vedere”.
Ex dirigente sindacale, Mario è un uomo estroverso, forte, appassionato, di grande fede: le sue immagini mentre corre avanti e indietro dopo essere stato recuperato hanno fatto il giro del mondo. Ci sono voluti 17 giorni prima che i minatori sapessero che li stavano venendo a salvare: “17 gironi di autentico inferno” dice Mario. “Per i primi 15 giorni non abbiamo saputo niente. Poi al quindicesimo giorno abbiamo sentito i rumori dei lavori, ma poi si sono interrotti. Siamo caduti nella disperazione. Poi due giorni dopo i lavori sono ripresi e abbiamo capito che ci stavano venendo a prendere”.
Subito dopo il crollo i minatori si organizzano in gruppi che vadano alla ricerca di vie d’uscita. “Luis Urzula era il punto di riferimento (l’ultimo a uscire dalla miniera, ndr). Mettevamo ogni cosa ai voti, decideva la maggioranza". Come raccontano diversi minatori, Mario era l’autentico punto di riferimento: “Era lui a organizzare ogni cosa, ci incoraggiava a non perdere la speranza”.
“Nei primi quindici giorni” racconta ancora Mario “le cose erano così difficili che molti, soprattutto i più giovani, avevano dei veri crolli nervosi. Fu allora che facemmo il Patto del Silenzio, quello cioè di non rivelare nulla di quanto succedeva”. Tra le altre cose, si è detto che i minatori pensarono, prima di sapere se sarebbero stati salvati, al cannibalismo. Avevano di fatto solo poche scatole di tonno a disposizione e pochissima acqua.
Si cibavano di pochi bocconi di tonno e qualche goccia di acqua. Di alcune cose però Mario non parlerà mai: “Di fatto, quello che è successo in quei 15 giorni è che alcuni di noi si comportarono come autentici bambini nel panico più totale”. D’altro canto la situazione era davvero allucinante: “L’aria era così cattiva che ci bruciavano gli occhi in continuazione. Avevamo sempre la tosse. Era come essere in una sauna inquinata dove l’aria è sempre sporca. Eravamo convinti di morire in modo orribile. Scrivemmo tutti delle lettere d’addio alle nostre famiglie”.
Fu proprio la capacità di tenere su il morale di Mario a imprimere la svolta. Un giorno finse che stava per morire. Era lì in mezzo agli altri, che sospirava e diceva frasi tipo dite alla mia famiglia che li amo. Improvvisamente scoppia a ridere fortissimo. Alcuni si arrabbiano, molti ridono anche loro per lo scherzo: “E’ stato allora che hanno capito che Dio aveva un piano per tutti loro. Anche se dovevamo morire lì sotto, saremo morti insieme, come un gruppo, con dignità”.
Durante la loro permanenza sotto terra, un ricco cileno, il signor Leonardo Farkas, ha preparato un assegno per ciascuno del valore di 6.500 dollari l’uno. Donazioni sono giunte in quei 70 giorni da tutte le parti del mondo. E’ atteso proprio per oggi un grande annuncio a sorpresa, durante una conferenza stampa tenuta sempre da Leonardo Farkas. Si mormora che verranno regalati un milione di dollari a ciascun minatore.
Le loro vite potrebbero cambiare per sempre. Eppure, Mario è convinto che qualunque cifra verrà usata solo per il bene delle loro famiglie: “Non sono una superstar, sono un minatore. Prenderò qualunque somma mi venga regalata ma la userò per pagare gli studi dei miei figli. Comprerò una casa e porterò mia moglie in vacanza. Tutto quello che avanzerà lo darò in beneficenza ad altre famiglie di lavoratori. C’è bisogno che il modo di comportarsi cambi, in Cile e nel resto del mondo”.
Mario è preoccupato per i minatori più giovani, quelli che non hanno mogli e figli: “Sicuramente saranno tentati di spendere i soldi per divertirsi. Vogliamo aiutarli anche in questo, vogliamo rimanere uniti tutti quelli che sono stati là sotto”. E aggiunge: “Quello che è successo a noi è stato qualcosa che ha messo insieme tutto il mondo. Sono felice di aver giocato un ruolo seppur piccolo in un evento che ha unito il mondo, anche se per un breve momento”.
Mentre si concludeva felicemente la storia dei minatori cileni, se ne apriva un’altra purtroppo con risultati tragici. Dall’altra parte del mondo, in Cina, 37 lavoratori rimanevano intrappolati in una miniera di carbone. Sono morti tutti. L’incidente è stato provocato da una fuga di gas. Altre 239 sono riuscite a salvarsi. Nella stessa miniera nel 2008 morirono altri 28 minatori, morti che purtroppo nelle miniere cinesi sono quasi all’ordine del giorno. Solo nel 2009 nell’industri mineraria carbonifera cinese sono morte quasi 3mila persone. Tutte morti che però non fanno notizia e che vengono dimenticate subito.