Immaginatevi a 700 metri sottoterra con altre 32 persone, vulnerabili e imprevedibili come voi, con acqua e cibo limitati e nessuna idea di se e come ne verrete fuori. Chiudete i vostri occhi e pensateci, consideratela come un’esperienza che, un giorno, potrebbe capitare anche a voi. Come vi sentite? Quali pensieri vi vengono in mente? Quanto di ciò che pensate di voi stessi sopravviverebbe a una situazione simile? Mi verrebbe da dire: ben poco.
È spontaneo pensare a quella dei minatori cileni come a un’esperienza al limite della possibilità, come a qualcosa di decisamente insolito. Tuttavia, ciò non è assolutamente insolito in Cina, per esempio, dove l’anno scorso sono morti 2600 minatori. Né si tratta di un’esperienza estrema, se consideriamo l’intera storia dell’umanità, rispetto alla quale non quelli riportati alla superficie sono l’eccezione, ma noi siamo l’eccezione, noi spettatori nelle nostre case riscaldate o con l’aria condizionata, piene di pulsanti per rispondere alle nostre esigenze, al sicuro da questa avventura.
Anche se sensibili al “messaggio di speranza” che i media assicurano emerga dal profondo del dramma, rimaniamo ai margini del suo vero significato. Nelle nostre mani abbiamo un telecomando con cui in un attimo, quando ne abbiamo avuto abbastanza dei minatori cileni, possiamo “toglierci” dal Cile e proiettarci in qualsiasi altro evento ci aggradi. Guardiamo allo spettacolo di questi uomini tirati fuori dal pozzo infernale e pensiamo che nulla di simile ci potrà mai succedere.
Invece, la storia dei minatori cileni è molto più rilevante per le nostre vite di quanto ci piace pensare. Questi uomini rischiano la loro vita per soddisfare i bisogni tecnologici della nostra civiltà, ma questo episodio ha portato alla ribalta un aspetto della realtà umana che questa nostra civiltà spesso tende a mascherare. Il loro coraggio e forza d’animo di fronte a un così grave pericolo sono stati eccezionali, ma la loro vulnerabilità indica una condizione in cui anche noi ci troviamo, pur protetti per la maggior del tempo da tecnologia e strutture sociali.
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Alla fine, sono stati salvati dall’ingegnosità umana e la tecnologia creata dall’uomo, ma per due mesi questi 33 uomini sono stati riportati alla loro nuda condizione umana e il loro equilibrio mentale e la loro speranza di salvezza sono stati preservati dalla fede che animava la maggior parte di loro. Come se fossero tornati nel grembo materno, sono rinati come esseri dipendenti, mortali, ma scelti. Hanno così portato tutti noi in un viaggio dentro la vera natura dell’avventura umana, con la riscoperta di quel senso della propria fragilità che la nostra civiltà di rado ci permette di sperimentare direttamente.
Non sorprende, quindi, che il racconto del loro salvataggio sia stato costellato da frequenti riferimenti agli aspetti religiosi della loro difficile esperienza. Molti di loro hanno pregato, cantato inni e hanno avuto in dono Bibbie e rosari benedetti dal Papa. Ho visto più di uno di loro cadere in ginocchio appena tornato in superficie. Diversi agnostici hanno riscoperto la fede laggiù sottoterra.
La nostra cinica cultura, secolarizzata e soddisfatta di se stessa, vede in questo una manifestazione di paura, una scommessa su più tavoli nel timore del peggio. Ma non è così: è la riscoperta della relazione più vera dell’uomo con la realtà. Oggi la risposta religiosa viene vista come un superato affidarsi a concezioni ingenue, ma in verità rappresenta la sola risposta ragionevole che un uomo può dare di fronte alla sua fragile umanità, non sostenuta da stampelle e marchingegni fatti dall’uomo. Non sono mai stato 700 metri sotto terra, ma ho l’impressione che si incontrino pochi atei laggiù, soprattutto dopo che il soffitto ha cominciato a crollare.
C’è poi un altro aspetto che mi sembra sia stato poco evidenziato: i minatori erano tutti uomini. Naturalmente, perché lo si sapeva già dalle cronache dei media, ma ciò che intendo quando dico che erano tutti uomini è che tra di loro non vi era nessuna donna e che nessuno lo ha sottolineato.
In altri termini, a 700 metri di profondità sembra sparire un altro fenomeno: le quote per genere. Questa storia ci ha ricordato che, malgrado tutti i discorsi sulla parità tra uomo e donna, ci sono ancora dei mestieri che le donne sono ben contente di lasciare agli uomini. E ci ha pure ricordato che, al di là del continuo bombardamento dei media progressisti, tocca ancora agli uomini di occuparsi di miniere e lavori pesanti, di tutto quello di pericoloso e sporco che i cittadini dell’Occidente sono ben lieti di evitare.
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Le donne si trovano a loro agio negli uffici (dove gli impianti di riscaldamento e condizionamento sono stati installati da uomini), ma non sembrano molto interessate a lavori come costruire autostrade, spegnare incendi nelle foreste o scavare rame o carbone dalle viscere della Terra.
La lobby della “eguaglianza” insiste che uomini e donne devono essere trattati in modo “uguale”, cosa che non sembra mai funzionare secondo la definizione che il dizionario dà della parola “uguale”, poiché i sessi sono differenti e hanno diverse attitudini e capacità. Il risultato è stato che gli uomini hanno dovuto cedere alle donne tutto quanto queste hanno richiesto, ma non hanno potuto liberarsi di tutte quelle funzioni che le donne considerano troppo pericolose o disdicevoli. Nello stesso tempo, le donne hanno mantenuto tutto ciò che già avevano, come il diritto a essere sostenute dagli uomini, se questa è la loro scelta.
Il vero sostrato della storia dei minatori cileni non è tanto la speranza quanto la verità. Nei prossimi due mesi, se la media del passato viene mantenuta, circa 400 uomini perderanno la vita nelle miniere cinesi, ma poche cineprese e giornalisti saranno presenti a queste tragedie. La vera importanza della storia dei minatori è legata alle verità che offre circa la realtà umana, al di là della propaganda e delle ideologie su ciò che realmente costituisce l’uomo.
Il recente dramma mi ha anche dato una bella idea per un reality televisivo, nel quale inviterei Richard Dawkins e Germaine Greer (NdR: un ateo e una femminista molto noti) a scendere in miniera con i minatori per vedere quante delle loro idee sulla vita, la morte e l’aldilà sopravvivrebbero a due mesi sottoterra a tonno e biscotti.