Le colpe di Tareq Ariz, ministro degli Esteri dal 1983 al 1991 e vice-premier nell’Iraq di Saddam Hussein dal 1979 fino al 2003, quando il regime cadde sotto i colpi dell’invasione americana, sono tali da giustificare la condanna a morte inflittagli l’altro ieri dal tribunale speciale che venne appositamente istituito a Bagdad per giudicare il dittatore e i suoi principali collaboratori? La risposta è inevitabilmente complessa. E’ giusto in generale, date le circostanze, prevedere la pena di morte per queste persone? E’ Tareq Aziz reo di colpe paragonabili a quelle per cui ormai molti suoi colleghi sono saliti al patibolo?
Oltre a Saddam Hussein molti altri suoi collaboratori infatti sono già stati condannati e giustiziati da quel medesimo tribunale con accuse paragonabili a quelle per cui è stato condannato Tareq Aziz senza che ciò trovasse eco alcuna sui grandi media. Rispetto a loro l’ex-vicepremier ha solo il vantaggio (decisivo, speriamo per lui) di essere un personaggio noto in sede internazionale.
Riguardo alla pena di morte in generale mi ritrovo pienamente in quanto si legge ai paragrafi n. 2266 e n.2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica di Giovanni Paolo II ove non si esclude “in casi di particolare gravità, la pena di morte”, ma la si circoscrive a casi estremi che non si danno in questa circostanza; e in generale non si danno nella normalità della condizione contemporanea. “Se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall’aggressore”, si legge al paragrafo n.2267, “o per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi (…)”.
In altri termini la pena di morte si giustifica solo come forma per così dire di legittima difesa sociale. Stando così le cose, la condanna a morte di Tareq Aziz assume allora molto più la veste della vendetta politica che non quella della punizione del reo, dando anche adito al sospetto che si voglia chiudere al più presto per sempre la bocca a un testimone autorevole e informato dell’epoca in cui gli Stati Uniti avevano sostenuto e armato Saddam Hussein contro l’Iran khomeinista.
Veniamo però adesso alle gravi responsabilità di Tareq Aziz come figura di primo piano del regime di Saddam Hussein. Le gravi responsabilità politiche oggettive ci sono. Diverso però è il caso delle sue personali responsabilità soggettive. Faccio l’esempio, tanto per spiegarsi con poche parole, di personalità del regime fascista come Galeazzo Ciano, Giovanni Gentile o Giuseppe Bottai. Le loro responsabilità politiche oggettive non furono diverse da quelle di ogni altro gerarca del regime, ma non si può dire di certo lo stesso per quanto concerne le loro responsabilità soggettive personali.
Ebbi occasione di vedere e seguire da vicino Tareq Aziz in due occasioni: a Ginevra nel 1990 durante la sua ultima trattativa con il Segretario di Stato americano Baker poche settimane prima dello scoppio della prima guerra del Golfo, e a Roma nel febbraio 2003 alla vigilia della seconda guerra. In entrambe le circostanze l’impressione che ne ebbi mi confermò nelle valutazioni cui ero giunto analizzando la sua attività: era un uomo che, chiuso in una morsa ben più grande di lui, faceva tutto quanto di buono gli era possibile fare.
Gli auguro perciò di fare la pacifica fine di Bottai, non quella tragica e cruenta di Ciano e di Gentile; non solo ma anche perché non dimentico che è un cristiano nato e cresciuto in una parte del mondo dove essere cristiani davvero non è facile.