Le isole Mentawai, travolte dallo tsunami di martedì, sono una delle zone più povere e remote dell’Indonesia. A dieci ore di motoscafo dalla città più vicina, in questo momento i contatti con il resto del Paese sono particolarmente difficili perché il terremoto ha messo fuori uso i ripetitori telefonici e i cellulari quindi non hanno campo. Una delle poche persone al mondo direttamente in contatto con le zone terremotate è padre Fernando Abis, superiore della Casa provinciale dei Saveriani a Padang, sull’isola di Sumatra. Ilsussidiario.net lo ha contattato per chiedergli di raccontare che cosa sta avvenendo in queste ore nella zona colpita da sisma e maremoto.
Padre Abis, come è stato il terremoto a Padang?
La scossa è stata molto forte e in città ha prodotto un terribile spavento. C’è stata subito una grande fuga verso le colline, ma appena ci siamo fermati a riprendere fiato abbiamo capito che l’epicentro non era qui. E per fortuna al nostro ritorno abbiamo scoperto che le nostre case non erano crollate.
Com’è invece la situazione sulle isole Mentawai, le più colpite dallo tsunami?
In questo momento le persone che vivono là, tra cui ci sono anche i nostri amici e fratelli, stanno contando i loro morti e recuperando i dispersi. Nella zona le case distrutte sono tante, e la popolazione si trova senza viveri, costretta a dormire all’addiaccio.
Prima del sisma, com’era la vita nelle zone colpite?
Si tratta di aree molto povere e isolate, sul confine esterno dell’Indonesia, con isole piccole e senza nessuna importanza economica. Per anni sono rimaste del tutto prive di contatti con il mondo esterno, e solo di recente sono stati stabiliti collegamenti con piccole navi e fuoribordo.
Chi ci vive?
Sono popolazioni cristiane, oltre il 50% sono protestanti e gli altri cattolici. Svolgono il lavoro di «piantatori col bastone»: vivono cioè coltivando in modo rudimentale piccoli appezzamenti di terra o raccogliendo quello che la natura offre spontaneamente.
Ritiene che ora ci sia il rischio di carestie o epidemie?
Spero proprio di no. L’ondata dello tsunami non ha superato i due metri di altezza, e pur travolgendo i villaggi sulla costa non ha danneggiato i terreni coltivati. Chi abita alle Mentawai è gente abituata da tempo a sopravvivere in condizioni difficili, ai margini della foresta e dell’oceano Indiano, e confido nel fatto che ce la faranno anche questa volta.
Il governo indonesiano sta facendo il possibile per aiutare le vittime dello tsunami?
Sulla vicenda c’è stato fin da subito un grande interessamento, i giornali e le televisioni locali hanno dato la notizia con ampio risalto, e il governo per non fare brutta figura di fronte all’opinione pubblica si è subito attivato per rispondere all’emergenza. L’impegno delle autorità è stato spontaneo, pronto e vivace, senza nessuna discriminazione nei confronti delle popolazioni cristiane coinvolte dalla catastrofe. Come al solito la burocrazia è lenta, ma si sono già mossi facendo partire due navi con gli aiuti. Su un’imbarcazione c’è anche un piccolo gruppo della Caritas diocesana. Le parrocchie indonesiane si sono letteralmente mobilitate per aiutare i loro fratelli terremotati, e al loro fianco ci sono anche alcune organizzazioni cattoliche. Confido nel fatto che questo impegno riuscirà ad alleviare le sofferenze delle persone colpite dallo tsunami.
In che modo state tenendo i contatti con le isole Mentawai?
Nella zona ci sono due sacerdoti e con la popolazione locale abbiamo stabilito un legame molto forte, anche da un punto di vista psicologico, e questo fa sì che chi vive là ci tenga aggiornati sulla situazione. A tenere i contatti sono soprattutto i missionari anziani, che per anni hanno vissuto alle Mentawai e che ora si sono trasferiti a Padang. Visitiamo periodicamente tutte le isole, i cui sacerdoti però sono sufficienti per le esigenze di chi vive là. E abbiamo dato la nostra disponibilità a mobilitarci anche noi per aiutare i terremotati.
(Pietro Vernizzi)