Immaginatevi i rapporti di un questurino, il suo taccuino con le soffiate dei confidenti, le indiscrezioni, le ipotesi di lavoro. Immaginatevelo moltiplicato per tutti i questurini d’Italia. E immaginatevi  che qualcuno dopo aver sottratto questa mole d’informazioni la pubblichi su un sito Internet spacciandovela per il volto autentico dell’Italia, sostenendo di offrirvi fatti sconosciuti che le autorità nascondono e i giornali non pubblicano. Ci credereste? Ci caschereste?



Considerereste  quel coacervo d’informazioni dove i fatti si mescolano alle calunnie, le informazioni alle insinuazioni, le accuse alle infamità la Verità con la V maiuscola? Eppure sta succedendo a livello planetario. Il fondatore di Wikileaks, quel diafano, etereo, sfuggente folletto chiamato Julian Assange sta cercando di convincere il mondo d’essere il profeta di una nuova verità. Una verità passata  come tale non per la sua attinenza ai fatti, ma perché esente dai controlli di qualsiasi autorità e  in forza di questo genuina ed irrefrenabile.



Ma cosa ci propina l’etereo guru della Nuova Verità? Ci propina 400mila file rubati dai circuiti computerizzati dell’intelligence Usa. Non dai circuiti alti  della piramide dove quelle informazioni arrivano già selezionate, analizzate  e accuratamente vagliate, ma da quelli più bassi, dove si accumulano rapporti e dati provenienti, nel caso specifico, dai quattro angoli del conflitto iracheno.

Bradley Manning – il cosiddetto analista d’intelligence che sfila quei file dai computer del Pentagono e li passa a Wikileaks – è uno sbarbato di 22 anni  ossessionato dall’idea che a Fort Hammer – la base irachena dove è arrivato con la 10° divisione di montagna – qualcuno possa scoprire le sue tendenze omosessuali. La sua azione – destinata probabilmente  a costargli una durissima pena detentiva  – è la vendetta contro un esercito che gli sta infliggendo una vita contraria alla sua indole.



Ma più dell’autore dello scippo conta la materia. Sfogliare quei file è come addentrarsi nel taccuino o nei taccuini di tanti questurini. Potreste leggervi di uno spacciatore eroinomane pronto in cambio di 50 euro o due schiaffi ad accusare  un alto funzionario di polizia di essere il vero controllore dello spaccio. Ci credereste? Ci crederebbero il questurino ed i suoi informatori? La pubblicherebbero i giornali? Ovviamente no.

L’informazione dovrebbe  venir verificata indagando se necessario sull’accusato,  sui suoi principali complici, cercando di capire se l’insinuazione resti pura insinuazione o sia corroborata da dei fatti. I file di Wikileaks non sono nulla di diverso. Sono informazioni raccolte da varie fonti che nessuno ha ancora valutato perché la loro selezione sarebbe avvenuta ad un livello della piramide superiore a quello occupato dal soldato scelto Bradley. Quelle informazioni sono rapporti frettolosi inviati dai vari comandi militari al quartier generale per informarlo dei principali avvenimenti della giornata.

Prendiamo i  documenti riguardanti i  militari italiani sulla cui  base qualcuno vorrebbe spacciarli per cinici assassini. Un rapporto «segreto» “svelato”  da Wikileaks riguarda il tragico episodio svoltosi la notte  tra il 5 ed il 6 agosto, quando quattro civili tra cui una donna incinta muoiono su un’ambulanza colpita dai nostri soldati. “Alle ore 03.25 – scrive Wikileaks – un automezzo che transitava sul ponte orientale di Nassirya non si è fermato al check point italiano e veniva conseguentemente ingaggiato (colpito) con armi leggere. Quindi si è prodotta una grande esplosione, seguita da una seconda da cui si è valutato che il veicolo avesse dell’esplosivo”.

L’episodio avviene mentre è in corso  una durissima battaglia iniziata 24 ore prima per  il controllo dei tre ponti sull’Eufrate di Nassirya attaccati da gruppi di insorti. La battaglia probabilmente confonde i nostri soldati, li induce a pensare che l’ambulanza in corsa verso il loro posto di blocco in  una notte in cui si spara senza sosta sia un’autobomba carica d’esplosivo. In verità lo scoppio che dilania il mezzo colpito dai nostri soldati è dovuto alla deflagrazione delle bombe d’ossigeno. 

Ma l’episodio è ampiamente documentato  e assolutamente non segreto. Tanto che i militari  coinvolti finiscono sotto processo e vengono assolti per aver agito sotto “necessità militare”. L’elaborato “segreto” di Wikileaks altro non è che un estrapolazione meno dettagliata del rapporto inviato in quei giorni a Bagdad dal colonnello Emilio Motolese comandante della task force Serenissima. “Alle ore 3.25 – annota quel rapporto – il Complesso minore su base 2ª Compagnia, disposto in prossimità del ponte Charlie, veniva attivato da colpi provenienti da un mezzo civile che transitava lungo il ponte verso le sue posizioni. All’alt intimato dai militari, accompagnato da colpi di avvertimento, il mezzo non si fermava e il dispositivo rispondeva prontamente alla minaccia aprendo il fuoco con armi di reparto causando l’esplosione del mezzo, il quale verosimilmente conteneva esplosivo”.

Quasi identico insomma al rapporto americano. In entrambi non si parla di civili perché ovviamente non è stata conclusa l’indagine. Ma il fatto è così poco segreto  da approdare poi in un’aula giudiziaria. Dunque dov’è la rivelazione? Dov’è la verità negata? Dov’è quella  con la V maiuscola regalataci da Julian Assange? Non c’è. Non esiste né qui, né altrove e neppure negli  altri 400mila file. Di reale c’è soltanto la presunzione manipolatoria di un ex hacker convinto di poter trasformarsi in nuovo profeta saccheggiando archivi  e dividendo il bottino con il grande pubblico. Come se la verità stesse non nella selezione e nell’analisi rigorosa dei fatti, ma nel disordine e nel caos.