Un’altra strage di cristiani in Pakistan. Un altro episodio drammaticamente emblematico della condizione in cui vive la minoranza di tre milioni di persone in un Paese di 170 milioni di abitanti, dove il 96 per cento della popolazione è di fede musulmana. Il fatto (in Italia riportato con ampio risalto solo dal quotidiano “Avvenire”) è accaduto nella cittadina di Haripur, le vittime sono Edwin Paul, avvocato di fede cristiano-evangelica, la moglie Rudy e i cinque figli di età compresa tra 6 e 17 anni, trucidati il 28 settembre.
Secondo fonti concordi, a ordinare il massacro sarebbe stato un notabile locale, al centro di un giro di usura che interessa alcune aree della provincia del Punjab. Un’attività che a sua volta è una delle fonti di finanziamento del terrorismo di matrice islamica e pesa in particolare sulle minoranze della regione, sempre più indifese.
Ai cristiani vengono imposti interessi che moltiplicano fino a cinque volte la somma iniziale: così è accaduto a un tassista che dopo avere richiesto un prestito di 160mila rupie con l’impegno di restituirne 224mila, ha dovuto fare fronte a una richiesta divenuta di 1,12 milioni di rupie (somma che equivale a 9500 euro). L’avvocato Edwin Paul sarebbe stato eliminato perché “colpevole” di avere assistito legalmente il tassista, accompagnandolo al posto di polizia per sporgere denuncia. Pochi giorni dopo, la punizione che ha colpito lui e la sua intera famiglia.
Continua così, nel silenzio dei media locali, nell’indifferenza sostanziale delle autorità e nel disinteresse pressoché totale dell’Occidente, la carneficina dei cristiani in Pakistan, Paese chiave del delicato scacchiere asiatico in cui si sta ridisegnando una parte importante dei nuovi assetti mondiali. Uno dei problemi pronunciati denunciati dalla Chiesa locale è la legge sulla blasfemia, che punisce con il carcere o la pena di morte chi viene ritenuto colpevole di avere dissacrato Maometto o i testi sacri dell’islam.
Una norma che, nonostante alcune modifiche recentemente apportate, in questi anni è stata usata come arma per eliminare avversari politici ritenuti scomodi, per regolare conti personali o perpetrare soprusi, e che colpisce sia cristiani sia musulmani. Una piccola nota positiva in un orizzonte plumbeo è venuta dall’abolizione del sistema degli “elettorati separati” che imponeva a ogni minoranza di votare per i propri candidati.
In molte regioni del Pakistan i cristiani devono fare i conti con discriminazioni, minacce o violenze esplicite, e molti di loro sono indotti a vendere i propri beni e ad andarsene. Nell’area in cui è avvenuto il massacro dei giorni scorsi, due mesi fa erano stati rapiti otto missionari protestanti: sei di loro sono stati successivamente rilasciati, mentre di altri due non si sono avute più notizie.
Nel Paese crescono l’influenza e la pressione del fondamentalismo islamico, sempre più minaccioso nei confronti delle minoranze religiose e sempre più influente sul governo centrale di Islamabad, che si rivela incapace di garantire i diritti delle minoranze, teoricamente affermati nella Costituzione ma ignorati nei fatti. A quando un intervento deciso delle cancellerie occidentali perché la libertà religiosa venga difesa e promossa? E non sarebbe il caso che i media di casa nostra – così appassionati alle inchieste sugli appartamenti e sulle gaffe dei politici, o al gossip che detta l’agenda della comunicazione – alzassero lo sguardo e dedicassero attenzione ai drammi che si consumano lontano dall’italico ombelico?