Che cosa dire di fronte alla nuova assegnazione del Nobel per la pace? Non è difficile affermare che il premio dato al dissidente cinese Liu Xiaobo sia più che meritato.
Questo cinquantenne professore di letteratura ha nobilitato in questi anni, con scritti sulla “rete”, la scelta per la democrazia e la libertà in un Paese che sembra non conoscere ancora il rispetto per i diritti umani o addirittura i fondamenti dei diritti naturali che sono alla base di una società democratica.
La Cina è invece oggi ammirata per la sua impetuosa crescita economica, per la sua capacità produttiva, per il nuovo “grande balzo” nella scala delle superpotenze. Oggi la Cina ha il secondo pil del mondo, paga di fatto il debito americano, ha una immensa riserva aurea e chi ne ha più ne metta. E poi è un grande mercato, un’occasione imperdibile per gli imprenditori di tutti continenti. A volte, guardando i grattacieli di Shangai, oppure leggendo la classifica dei nuovi milionari cinesi, ci si dimentica la storia della Cina e quello che la sua popolazione ha sofferto in questi anni.
La Cina, nonostante i suoi meriti economici, resta l’ultima grande potenza comunista al mondo. con un partito al potere che è la continuazione dell’ideologia marxista-leninista, in chiave maoista, del “grande Mao”, come dicevano i nostri sessantottini, che fece la “lunga marcia, il “grande balzo” e poi promosse la “rivoluzione culturale” con un bilancio di morti che è tuttora sconosciuto.
E’ evidente che il Nobel a Liu Xiaobo rappresenta il riconoscimento al simbolo di una Cina che non esiste. E questo, inevitabilmente, spiega la reazione ufficiale e rabbiosa del governo cinese: “E’ una oscenità”. Che cosa altro avrebbe potuto dichiarare Pechino?
Liu Xiaobo è in prigione, con sulle spalle una condanna di 11 anni. Se tutto va bene uscirà nel 2020. Xiaobo era un giovane di "Tien Ammen" nel 1989, quelli che sfidarono i carri armati mandati dal revisionista Deng Xiaoping (il Kruscev cinese) nella grande piazza dove campeggia il ritratto di Mao Tze Tung. Xiaobo è ritenuto un "pericolo pubblico numero uno", un sobillatore e sabotatore che incita al sovvertimento sociale e politico. Quindi, per un regime comunista, più pericoloso di un assassino.
Del resto, la Cina, in questo campo, è meno ipocrita della vecchia Unione Sovietica. Solo il nostro Pci dell’epoca poteva tollerare e tacere la "diagnosi" fatta dagli psichiatri dell’Urss sul generale Grigorenko spedito a vita in lager psichiatrico perché: "Affetto da sindrome ossessiva di riforme sociale".
La Cina è più diretta e mette in galera, duramente, gli oppositori al regime. Quindi nessun stupore. Al contrario va valorizzata la lotta indomita di Liu Xiaobo. sperando che non ci siano "distinzioni" come quando venne assegnato il premio Nobel a Solženicyn.
C’è tuttavia da aggiungere una piccola considerazione. L’Accademia di Oslo ha mostrato questa volta coraggio e non sembra aver scelto secondo iconsueti criteri geopolitici.
Ma potrebbe questa Accademia, quando motiva le ragioni di un premio, spiegare in quale contesto avviene? Possibile che non possa aggiungere che il premio a Liu Xiaobo non potrà essere consegnato personalmente, perchè il premiato sta in galera? E che la situazione della famiglia di Xiaobo, con questo premio, rischia di precipitare ulteriormente? Come si comporteranno a questo punto i cinesi? Manderanno la moglie di Liu Xiaobo a ritirare il premio? E’ facilmente impensabile.
Apprezzando la scelta dell’Accademia di Oslo, si dovrebbe suggerire alla stessa Accademia di fare una scelta di maggiore coraggio: andare nella prigione sconosciuta della Cina e pretendere, in base ai diritti, umani di consegnare il Nobel nelle mani di Liu Xiaobo.