La stampa italiana, salvo rare eccezioni, ama Barack Obama. Parla di lui non come del presidente della prima potenza mondiale (lo è ancora) le cui azioni vanno analizzate e poi giudicate sulla base di elementi concreti, ma come il campione della propria squadra del cuore, per il quale bisogna comunque e sempre fare il tifo. E questo si sapeva.



Lo stesso atteggiamento lo si riscontra anche oggi, leggendo i commenti delle elezioni di mid term svoltesi il 2 novembre scorso e che sono andate come tutti abbiamo potuto vedere. Secondo i maggiori quotidiani italiani, la perdita della camera bassa, di molti senatori e governatori, non è stata una débacle, nel senso che poteva andar peggio, che l’aver mantenuto il Senato è tutto sommato una vittoria, perché ora nascerà una stagione di collaborazione democratici-repubblicani la quale, alla fin fine, potrà addirittura giovare al presidente.



Unico a staccarsi da questo coro è stato ieri Stefano Cingolani che, proprio su ilsussidiario.net, ha scritto semplice semplice quello che è stata la giornata del 2 novembre (da noi commemorazione dei defunti) per Obama: una batosta storica, che non ha precedenti recenti. Perché se è vero, come ha dichiarato anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, che molti altri presidenti americani sono stati sconfitti all’appuntamento del mid term, è altrettanto vero che nessuno era mai andato così male. Sul perché di questo insuccesso, sulle ragioni che hanno portato a disperdere un patrimonio di credibilità e popolarità stellare solo fino a due anni fa, ha già detto tutto appunto Cingolani nella sua analisi di ieri ed è superfluo tornarci, perché si finirebbe per essere ripetitivi.



Ora bisogna cercare di capire come influirà il risultato del 2 novembre sulla politica dell’amministrazione Usa nella seconda metà del suo mandato; quali cambiamenti, quali modifiche di linea imporrà soprattutto in materia di politica economica. Il primo problema da affrontare è quello del debito pubblico. L’America per reagire alla Grande Crisi, salvare colossi bancari e non bancari da sicuro fallimento, ha speso cifre incredibili, difficili anche solo da scrivere o immaginare: oltre 1.500 miliardi di dollari per stimolare crescita e creare posti di lavoro. E, oltretutto, senza ottenere risultati apprezzabili, in linea con le aspettative.

Questo rosso è andato a scaricarsi su un bilancio pubblico già a livello di guardia a causa – anche, ma non solo – delle spese militari (Iraq e Afghanistan). Ora quel debito ha raggiunto dimensioni non più tollerabili e va in qualche modo riportato sotto controllo. Una via è già stata individuata: la Federal Reserve sottoscriverà le prossime emissioni di bond del Tesoro. Ma questa manovra non basta, anche perché è una mina inflazionistica: di fatto si stampano dollari e non si può esagerare. Dunque la commissione composta da dieci rappresentanti democratici e otto repubblicani incaricata di formulare delle proposte per tagliare il debito, dovrà lavorare di fantasia. Dovrà farlo in fretta (i lavori si concluderanno in quattro settimane) e dovrà soprattutto tener conto della nuova aria che si respira nel Paese.

 

Dei seri ostacoli incontrerà anche il progetto di Obama di riforma fiscale, mirata a ridurre (o eliminare) i vantaggi introdotti dalla precedente amministrazione per i redditi più alti. Su questo tema è facile prevedere che i repubblicani, e in particolare l’ala più determinata tipo tea party, si faranno forti del risultato ottenuto il 2 novembre.

 

Ma c’è un terzo punto da seguire con attenzione, forse anche più significativo dei precedenti. Obama nei primi due anni del suo mandato ha trattato le grandi banche, la finanza, in generale Wall Street come lo sterco del diavolo. Un po’ perché questo riflette le sue convinzioni, e un po’ perché, da abile politico e comunicatore, sa che questo è un sentimento assai diffuso nel Paese, e lui si è messo in sintonia.

 

Con i repubblicani in maggioranza, sarà molto più difficile parlare di vincoli alle banche e ai banchieri, di rivincita dell’economia reale sui venditori di fumo della finanza. Il presidente dovrà parlare e agire con cautela, con molta moderazione. Wall Street l’ha capito. E infatti tutti prevedono che il mercato in genere, in particolare il comparto finanziario, vivrà un Natale sereno.

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