Nuovi scontri ieri nella regione del Punjab, in India, tra estremisti indù e cristiani. Il caso è scoppiato in seguito alle proteste della comunità cristiana di Batala, nel distretto di Gurdaspur, che ha  chiesto alle autorità di ritirare un libro destinato all’uso scolastico in cui compare un’immagine blasfema, nella quale si vede Gesù Cristo che tiene in mano una sigaretta e una lattina di birra. Gli estremisti indù hanno reagito attaccando i cristiani. Sono dieci i cristiani feriti e due le chiese distrutte. Le autorità hanno condannato l’immagine blasfema e hanno detto di voler ripristinare al più presto l’ordine pubblico. Padre Antonio Grugni, missionario del Pime, medico, è in India da 34 anni. Ha accettato di parlare con ilsussidiario.net di quest’ultimo episodio di cristianofobia, che ripropone il tema della sopravvivenza delle minoranze cristiane nei paesi del Medio e dell’Estremo oriente.



Qual è la sua reazione di fronte a quest’ultimo episodio di persecuzione anticristiana?

Sono addolorato e spero che le violenze abbiano fine presto. Un anno e mezzo fa in Orissa 40 cristiani hanno pagato la fede con la vita. Ma sono anche perplesso, perché qui né i giornali né la televisione hanno parlato dei fatti che lei mi riporta. È una cosa che andrebbe chiarita perché i libri in uso nelle scuole pubbliche sono autorizzati dal governo, ma nessun governo pubblicherebbe immagini che offendono la guida spirituale o il dio di un’altra religione, ben sapendo che questo creerebbe gravi disordini.



Come spiega queste violenze da parte di estremisti indù?

In India tutte le religioni hanno convissuto pacificamente per secoli. Il fenomeno di queste reazioni violente è nato in concomitanza con la diffusione del partito indù del Bjp (Bharatiya Janata party, ndr), di stampo fortemente ideologico. Un movimento di tipo fondamentalista che per avere il potere ha dovuto sobillare i sentimenti religiosi della comunità indù. Agli estremisti del Bjp interessa comparire davanti alla gente come i campioni dell’induismo: vedete? siamo noi a difendere la nostra religione e la nostra cultura.

Normalmente quindi le religioni convivono pacificamente?



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Nel sud dell’India, dove io sono da anni e dove il governo locale è in mano al Partito del Congresso, non c’è nessuna tensione o scontro di tipo religioso. Ci sono templi indù, chiese, moschee, e uno prega come vuole. Un partito secolare come il Partito del Congresso sa che l’India è e non può non essere multiculturale, multietnica e multireligiosa. Nella stessa costituzione dell’India è codificato che ogni religione ha il diritto di esistere e di essere praticata.

 

Se c’è libertà di culto, perché si sta diffondendo una mentalità anticristiana?

 

L’animo indiano è per natura religioso, la fede nel trascendente è dentro l’animo. Difficile trovare un indiano che dica «io non credo in Dio». Oggi però i problemi vengono insieme dalla politicizzazione e dall’eredità storica. Non dobbiamo dimenticare duecento anni di dominio coloniale inglese. Europei e americani sono considerati cristiani. Noi sappiamo bene quanto questo non sia vero, ma non importa.  Chi è bianco è cristiano. Dopo l’indipendenza del ’47 si è affermata la convinzione ideologica, in molti fautori dell’induismo, di dover recuperare l’identità religiosa tradizionale indiana, induista. Compreso chi non ce l’ha: in Orissa c’erano santoni indù che volevano riconvertire i cristiani.

 

Vien da pensare che valga solo per la religione dominante. E se uno vuol convertirsi ad un’altra religione?

 

La sola idea di propagandare una religione per convertire è considerata inaccettabile. In questo ha pesato molto – va detto – il proselitismo spinto di parte protestante. Anche i vescovi non pronunciano la parola conversione: predichiamo, viviamo il Vangelo ma senza fare «attività di conversione». In India ci sono leggi anticonversione: uno che voglia convertirsi deve fare una dichiarazione legale al prefetto per attestare che lo fa di spontanea volontà. Ma la parola conversione crea una ribellione immediata.

 

Sono presi più di mira i protestanti o i cattolici?

 

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Dove vedono una croce e una bibbia gli induisti attaccano. Non conoscono bene la differenza tra un cattolico e un protestante, esattamente come l’opinione pubblica europea non distingue al lato pratico tra musulmani sciiti e sunniti.

 

Qual è la sua esperienza personale di convivenza e di incontro con i fedeli delle altre religioni?

 

Sono da 34 anni in India, ho lavorato tra i lebbrosi, i tubercolotici e i sieropositivi nelle baraccopoli di Mumbai di altre città, ma non ho mai avuto problemi di rifiuto e nemmeno sono stato vittima del sospetto di fare conversioni. Anche perché cerco di vivere la mia missione come servizio e come amore verso tutti. In India è questo che conta.

 

Se il primo sospetto è quello di fare proselitismo, su cosa può basarsi la missione cristiana?

 

Su un ritorno a Gesù. Occorre abbandonare l’ottica del progetto, della costruzione di un edificio con tutti i crismi istituzionali. Questo approccio blocca anche i rapporti con le persone e finisce per ingessare tutto. Occorre tornare alla modalità dell’incontro, come faceva madre Teresa: un approccio che tocchi di nuovo la vita delle persone. Lei e le sue sorelle erano in giro per le strade, si sono mescolate con la gente. È l’unica personalità cristiana di cui si può parlare pubblicamente come di un grande esempio di fede, senza provocare tensioni. Ha dato se stessa con un amore totalmente gratuito e disinteressato.