Non è stato un viaggio da nulla quello che Silvio Berlusconi ha appena concluso in Israele. Per il suo rientro sulla scena internazionale dopo la convalescenza dovuta all’aggressione milanese, il presidente del Consiglio italiano ha scelto di recarsi in un Paese che “lo stima e lo ama”, per riprendere le parole con le quali il premier israeliano Bibi Netanyahu lo ha accolto alla Knesset, dove Berlusconi ha tenuto un applaudito discorso.
Per comprendere quanto sinceri fossero i toni di Netanyahu basta considerare quanto l’azione di Berlusconi, a partire già dal 1994, abbia contribuito a mutare la tradizionale politica italiana verso il Levante e, più specificamente, sulla questione israelo-palestinese.
Alla linea dell’“equidistanza”, che tendeva a mantenere concretamente ottimi rapporti (anche d’affari) con il mondo arabo senza lasciare che venisse meno la solidarietà retorica verso Israele, Berlusconi ha sostituito un atteggiamento molto più risoluto. E’ quello che è emerso durante il suo discorso alla Knesset, in cui, dopo aver sottolineato le “radici giudaico-cristiane dell’Occidente”, e aver ricordato l’infamia della Shoah e delle leggi razziali dell’Italia fascista, ha riconosciuto la natura compiutamente democratica dello Stato di Israele, caso unico in tutto il Medio Oriente.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Negli anni della “seconda repubblica” quello tra Israele e l’Italia è andato ben oltre un rapporto di buon vicinato e persino di amicizia. E’ un rapporto privilegiato che rasenta la vera e propria alleanza. In questa prospettiva mutata si intendono bene le parole di inusitata durezza con cui Berlusconi ha chiesto alla comunità internazionale di fare ogni sforzo per impedire che il regime iraniano possa arrivare a possedere l’arma atomica.
Era quello che gli Israeliani volevano sentirsi dire, ma non era per nulla scontato che quelle parole sarebbero state pronunciate. L’Italia è infatti uno dei migliori partner commerciali dell’Iran, e sono noti gli interessi che Eni ha nel paese degli ayatollah. Il fardello delle relazioni con l’Iran era stato quello che aveva consigliato il premier, ai tempi del suo precedente governo, di star fuori dal ristretto gruppo di mediatori europeo incaricato del negoziato con Teheran sul tema del nucleare. Fu una scelta sbagliata.
E ora sembra che il governo sia disposto a non farsi condizionare, nella sua politica mediorientale, da un fardello che è sempre più ingombrante. Il regime iraniano è sempre più simile a una variante islamista del fascismo, sempre più intollerante all’interno e aggressivo verso l’esterno.