La Gran Bretagna si sta avviando oramai verso la legalizzazione dell’eutanasia. Non si è avuto il coraggio di farlo attraverso una legge del Parlamento e si è, quindi, optato per la soluzione ipocrita della via giudiziaria. Infatti, un sostanziale contributo a questo processo di legalizzazione lo hanno dato le guideline predisposte da Keir Starmer, il Director of Public Prosecutions per l’Inghilterra ed il Galles, attraverso cui sono stati delineati i presupposti per procedere penalmente nei confronti di chi partecipa attivamente ad un suicidio assistito. Le sei esimenti previste in quelle direttive rischiano di rappresentare, infatti, un vero e proprio disco verde alle pratiche eutanasiche.
Secondo le nuove regole di Starmer, l’azione penale non verrà esercitata quando: 1) la vittima ha assunto una volontaria, chiara, determinata e consapevole decisione di commettere suicidio; 2) l’indagato ha agito esclusivamente per motivi di compassione; 3) l’azione commessa dall’indagato, sebbene idonea ad integrare un’ipotesi di reato, si è in realtà risolta in una lieve istigazione o in semplice assistenza; 4) l’indagato ha tentato di dissuadere la vittima dalla commissione del suicidio;
5) le azioni dell’indagato si possono qualificare come una debole istigazione o come mera assistenza rispetto ad una precisa volontà della vittima di commettere suicidio; 6) l’indagato ha denunciato il suicidio della vittima alla polizia giudiziaria collaborando pienamente all’inchiesta sulle circostanze del suicidio o del tentato suicidio, e sul suo ruolo nell’istigazione o nell’assistenza.
È ormai chiaro, quindi, come da oggi sia possibile in Gran Bretagna ricorrere all’eutanasia senza rischiare di incorrere nella giustizia penale. I criteri contenuti nelle guideline del Director of Pubblic Prosecutions rappresentano un calderone dove ciascuno può attingere facilmente una motivazione giuridica per praticare la dolce morte. Concetti come la «lieve istigazione» o la «compassione» consentono, a tutti gli effetti, di autorizzare l’omicidio di chi chiede di porre fine alla propria esistenza.
La prova migliore di quanto affermo la fornisce l’esultanza di Debbie Purdy, accanita sostenitrice del suicidio assistito, che ha definito le nuove guideline una vera e propria “victory”. Per la precisione, ha dichiarato di essere «entusiasta e felice per questa vittoria». Sentimenti riecheggiati anche nelle parole di Sarah Wooton, responsabile di un gruppo pro-eutanasia, che ha parlato di una «vittoria del buon senso».
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I primi a lamentarsi delle nuove direttive, invece, sono stati alcuni parlamentari sentitisi espropriati della propria funzione legislativa. Le guideline di Starmer vengono, infatti, viste come una “back door”, una porta di servizio da cui far entrare l’eutanasia bypassando il confronto democratico del dibattito parlamentare. Parlando alla House of Commons, il deputato conservatore Mark Pritchard ha denunciato la seria preoccupazione che vive la comunità britannica allarmata dal fatto «che venga tolta la parola alla Camera» e che la via giudiziaria rappresenti, appunto, una nuova «back door attraverso cui introdurre l’eutanasia nel Regno Unito».
Furiose le organizzazioni pro-life. Peter Saunders, del Care Not Killing Alliance, ha aspramente criticato le nuove esimenti senza mezzi termini: «Chiunque prenderà parte ad un suicidio assistito, dichiarerà inevitabilmente di aver agito per compassione. Peccato che l’unico testimone in grado di conoscere come si siano realmente svolti i fatti, nel frattempo, sarà morto».
Anche organizzazioni a sostegno dei disabili non hanno mancato di far sentire la propria voce. Richard Hawkes, direttore di Scope, ha denunciato: «Molti disabili sono spaventati, e con buon motivo, dalle possibili conseguenze di queste nuove regole». «C’è un reale pericolo – continua Hawkes – che le direttive del Director of Public Prosecutions possano tradursi in una pressione psicologica che spinga chi è affetto da disabilità a porre fine alla propria esistenza». Senza parlare dei possibili casi di abuso in cui la soppressione non consenziente del disabile venga poi giustificata dall’omicida attraverso un’inesistente motivo compassionevole. Un altro gruppo che ha fermamente rigettato l’introduzione delle nuove regole sul suicidio assistito, è la combattiva ProLife Alliance, secondo cui la stessa idea che possano esistere delle esimenti al reato di omicidio del consenziente è di per sé aberrante.
La tesi di Starmer e le cause di non colpevolezza contenute nelle sue guideline non possono essere accettate da una società che pretende di considerarsi civile e fonda le proprie basi su una concezione democratica del diritto e della legge. Chiunque abbia un minimo di cultura giuridica non può non avvertire l’esigenza di respingere tout court l’idea di legittimare un omicidio. Senza se e senza ma. Quelle direttive non sono altro, in realtà, che una vera e propria licenza di uccidere.