Lo scorso 11 marzo, il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione legislativa sui prigionieri di coscienza a Cuba. Lo ha fatto alcuni giorni dopo la morte in carcere di Orlando Zapata Tamayo. È la prima volta che in Europa tutti i partiti politici sono d’accordo nel condannare il metodo politico di Fidél Castro.



Durante il mio intervento in aula, mi sono permesso di invocare un atto di carità di fronte al mistero della morte di un uomo. Un uomo che, secondo quanto propagandato dal Governo castrista, era in carcere soltanto per aver commesso dei reati comuni. Non è vero: Zapata era un dissidente politico scomodo al regime, come Osvaldo Payà Sardiñas (il padre della cosiddetta “dissidenza” cubana) e Marta Beatriz Roque.



Sembra assurdo, ma esiste ancora qualcuno che crede alla propaganda di un regime che nacque e ancor oggi naviga sotto la spinta ideologica dell’Unione sovietica. Proprio quell’Unione sovietica che produceva in quantità industriale false diagnosi psichiatriche per poter incarcerare ed eliminare i dissidenti.

La morte di Orlando Zapata riporta Cuba nello stesso baratro: è il primo caso da quasi 40 anni di un attivista cubano morto a causa di uno sciopero della fame per protestare contro gli abusi del governo. Persino intellettuali e uomini dello spettacolo notoriamente di sinistra come Pedro Almodovar, Willy Toledo, Miguel Bosé, Fernando Savater, Mario Vargas Llosa, hanno firmato nei giorni scorsi un documento dal titolo “Io accuso il governo cubano”, sottoscritto da migliaia di persone in pochissimi giorni e nel quale, oltre a chiedere la liberazione incondizionata di tutti i detenuti politici, si precisa che Orlando Zapata è morto da prigioniero politico per il trattamento subito e non da comune detenuto.



“Fidél sta male, Raùl porterà il cambiamento”. Questa la convinzione più gettonata tra gli analisti politici internazionali negli ultimi mesi. La vicenda di Orlando Zapata ci fa capire che non è così. In sede europea abbiamo denunciato ad esempio l’assenza di segnali significativi da parte delle autorità cubane in risposta alle richieste dell’Unione europea e della comunità internazionale di rilasciare tutti i prigionieri politici e di rispettare pienamente le libertà fondamentali, in particolare la libertà di espressione e di associazione politica.

Ancora oggi dozzine di giornalisti indipendenti, dissidenti pacifici e difensori dei diritti umani, per lo più membri dell’opposizione democratica, sono detenuti a Cuba per aver esercitato i diritti fondamentali di espressione e di assemblea nonché il diritto di riunione. Nel 2005 il Parlamento ha conferito il Premio Sacharov per la libertà di pensiero al movimento cubano delle “Damas de blanco”, le rappresentanti di un movimento di opposizione al regime cubano che riunisce le mogli e i famigliari dei prigionieri di coscienza o prigionieri per reati di opinione rinchiusi nelle carceri dell’Isola.

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Le autorità cubane hanno avuto il coraggio di non autorizzare le “Damas de blanco” a recarsi presso la sede del Parlamento per ritirare il premio, violando il diritto di lasciare liberamente il proprio paese e di farvi ritorno liberamente, sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Episodi analoghi a Cuba sono sempre all’ordine del giorno. Eppure qualcuno, anche in Italia, così come accadeva durante la guerra fredda, ha ancora la faccia tosta di difendere l’indifendibile, di giustificare il regime cubano dicendo che, in fondo, anche nelle carceri italiane si muore e che Cuba ha il solo torto di aver fatto rispettare le proprie leggi.

 

Tutto questo si chiama ideologia: un approccio alla realtà che prescinde da molti dei fattori della realtà stessa per cui arriva a sconciarne il volto e a trasformarla in un sottoprodotto dell’esperienza dell’umano, con effetti desertificanti per quello che è il progettare il futuro e il tentativo di dare un senso al presente. Le ideologie non sono ancora morte, ed è bene che chiunque abbia a cuore la libertà e la democrazia se ne renda conto. Perché la distorsione della realtà che da 50 anni governa l’isola di Cuba ha la medesima radice, o se vogliamo, lo stesso colore della bandiera di chi, a migliaia di chilometri di distanza, tenta di farci credere che l’isola di Cuba è soltanto un paradiso per i turisti e non invece un luogo di miseria, di fame e di disperazione.