La Lettera Pastorale del Papa ai cattolici irlandesi è stata concepita fin dall’inizio come un documento interno, come tale è stata annunciata ed è indirizzata a quelli che il papa chiama “i fratelli e le sorelle della Chiesa in Irlanda”. Ma c’era anche un altro pubblico cui rivolgersi: la più ampia società civile della quale i fedeli cattolici fanno parte.



La maggior parte degli irlandesi appartengono a due comunità, distinte ma connesse: da una parte la Chiesa, dall’altra la democrazia laica, quella che effettivamente decide sulle questioni di rilevanza pubblica.

La risposta a quanto ha detto il Papa sta venendo, e continuerà a venire, non dall’interno della Chiesa, ma dalla società civile attraverso i media, rendendo la situazione infinitamente complessa.



Se lo si esamina secondo una prospettiva interna alla Chiesa, si tratta di un documento forte, che biasima in modo inequivocabile chi e cosa devono essere biasimati e che punta a quel rinnovamento radicale della proposta cristiana essenziale per il futuro del cattolicesimo in Irlanda. Chi ha commesso abusi e chi li ha coperti vengono severamente giudicati nel documento che, se la crisi dovesse essere risolta dentro la Chiesa, avrebbe raggiunto l’obiettivo per il quale è stato emanato.

Tuttavia, non trattandosi di un problema puramente, e neppure primariamente, interno alla Chiesa, è difficile capire quale aiuto questo documento potrà dare.



 

Questo per una serie di motivi. Il primo è che il documento non contiene gesti verso la società civile, come se non ci si rendesse conto della necessità di un confronto con richieste ed esigenze che non provengono dall’interno della Chiesa, prendendo troppo alla lettera i numeri di una ancora consistente partecipazione ai riti e alle pratiche religiose.

 

Dare risposte anche alla più ampia società e alle sue istituzioni civili è indispensabile anche per il rinnovamento della Chiesa, data la doppia appartenenza già vista dei fedeli cattolici e la vergogna che in questo momento paralizza il cattolicesimo. In questa situazione, i cattolici non possono essere soddisfatti, come cattolici, se non si danno risposte anche alla più ampia società civile.

 

La maggior parte dei cattolici irlandesi deve già resistere alla tentazione di unirsi ai nemici della Chiesa, figurarsi se si vuol preoccupare del rinnovamento della istituzione.

 

Nel giro di poche ore dalla pubblicazione della Lettera Pastorale è risultata evidente la risposta negativa delle vittime. Forse era impossibile una risposta diversa. Forse l’alleanza tra vittime degli abusi e commentatori sui media è così mirata a incalzare la Chiesa fino a un possibile suo annientamento, da non lasciare nessuno spazio a una risposta che non sia negativa.

 

Tenendo conto di tutto questo, bisogna riconoscere che la Lettera, dal punto di vista della società civile, offre poco per alleviare il disagio e l’inquietudine che si sono sviluppati durante lo scorso anno.

 

Il problema non è, come verrà detto, che non si è offerta nessuna testa sul piatto, perché il Papa ha probabilmente capito che si sarebbe così dato inizio a una sorta di domino senza fine. Tuttavia, era necessario un qualche gesto e non è sufficiente dire a preti e vescovi di assumere le loro responsabilità e di sottomettersi alle autorità civili, richiesta che rischia di apparire ovvia.

 

  

Un altro problema sorge con l’analisi delle cause alla radice degli abusi sui minori, che dice molto sulle difficoltà di riconciliare la Chiesa e la società. Il Santo Padre parla dei danni derivanti dalla secolarizzazione e, naturalmente, ha del tutto ragione. Il problema è che la sua analisi è troppo abbozzata per trasmettere il suo reale pensiero sulla corruzione della proposta cristiana indubbiamente alla radice di tutto questo male: se Cristo fosse stato realmente nel cuore del clero, tutto questo non sarebbe accaduto.

 

In mancanza di un sufficiente approfondimento, però, le sue parole rischiano di essere fraintese, anche in malafede, come un tentativo di incolpare dei peccati della Chiesa i suoi nemici, invece di addossarne la piena responsabilità alla Chiesa stessa.

 

Se avessi potuto consigliare il Papa prima della pubblicazione della Lettera, gli avrei detto che era magnifica nell’affrontare il dolore dei fedeli irlandesi e nel delineare il cammino per portare alla sua riabilitazione la fede cristiana in Irlanda. Avrei rassicurato il Papa che il tono del documento era quello giusto per la comunità cristiana cui era diretto. Ma mi sarei sentito obbligato a dirgli che, così redatto, era probabilmente insufficiente nel contesto generale, a meno che fosse aggiunto qualcosa su come i colpevoli dovevano essere sottoposti alle autorità civili.

 

Avrei consigliato di compiere pubblicamente un gesto radicale, perfino drastico, per portare uno spiraglio di pace in questo conflitto devastante. Così, credo, avrebbe potuto esserci qualche probabilità che la Lettera Apostolica fosse letta dai fedeli con cuore più sollevato e con rinnovata speranza di un nuovo inizio.

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