Due anni fa Mazen Ishoa, sacerdote siro cattolico di Mosul, era stato rapito insieme ad un altro religioso mentre andavano a dire Messa. Una settimana di paura e maltrattamenti nelle mani dei rapitori, poi il rilascio per entrambi. Stavolta non sono venuti per lui: sono entrati nella casa dei suoi genitori, hanno picchiato le donne, rubato quei pochi oggetti di valore che c’erano e infine trucidato suo padre Metoka e i suoi due fratelli, Mukhlos e Basem.



Anche Adnan al Dahan, commerciante cristiano ortodosso di 57 anni, era stato rapito due anni fa e aveva dovuto pagare un forte riscatto per essere liberato. Stavolta è andata diversamente: una settimana dopo il rapimento il suo corpo senza vita è stato trovato per strada in un quartiere periferico di Mosul.

Lascia moglie e quattro figli. Zaiya Toma Soro, cristiano assiro originario di Dohuk, aveva solo 22 anni e studiava all’università di Mosul, è stato ucciso a revolverate da due finti poliziotti mentre camminava per strada insieme a un altro studente cristiano, rimasto ferito. Mancano pochi giorni al secondo voto politico libero nella storia dell’Iraq, e la caccia al cristiano è una delle caratteristiche salienti della campagna elettorale, specialmente nella tristemente famosa città settentrionale di Mosul.



Solo fra il 14 e il 24 febbraio sono stati trucidati 8 cristiani. Dietro consiglio delle autorità di pubblica sicurezza gli studenti cristiani non frequentano più l’università: sono arrivate minacce secondo cui gli autobus che li trasportano saranno fatti esplodere, cosa che è già avvenuta a fine gennaio, quando una bomba ha ferito cinque studenti su di una corriera e un’altra è stata scoperta per tempo.

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Decine di famiglie hanno abbandonato la città. Va onestamente ricordato che anche nel resto dell’Iraq, fra i musulmani, la campagna elettorale è sporca di sangue: nella sola giornata del 22 febbraio 23 persone hanno perso la vita. In un quartiere sciita di Baghdad una madre coi suoi tre bambini sono stati trucidati in casa, in un altro otto persone della stessa famiglia, compresi sei bambini, sono stati uccisi e decapitati (tipico marchio di fabbrica di al Qaeda in Mesopotamia), un corteo d’auto del ministero della Difesa è stato preso d’assalto. Senza dimenticare gli attentati suicidi di Ramadi e quelli di Baghdad il giorno dopo l’esecuzione capitale di Alì il Chimico con decine di morti.



Però, come al solito in Iraq, fra i due ordini di tragedia c’è una differenza fondamentale: al contrario di quanto riguarda sunniti e sciiti, i cristiani non faranno rappresaglie. «Condanniamo gli atti di violenza contro le comunità cristiane presenti in Iraq, soprattutto quelli contro i fedeli di Mosul. Ma noi cristiani dobbiamo perseverare nel compiere gesti di bontà ed essere “buoni samaritani” verso tutti, senza distinzione di religione o gruppo etnico. In questi tempi terribili ricordiamo le parole del nostro Signore che ha detto: “Non abbiate paura di chi uccide il corpo, in quanto non si può uccidere l’anima”».

 

A parlare così è monsignor Avak Asadourian, arcivescovo armeno apostolico che è segretario generale del Consiglio dei leader cristiani in Iraq. L’unica novità del solito tran tran di persecuzione dei cristiani è la nascita di questo Consiglio che riunisce i rappresentanti di 14 diverse Chiese presenti in Iraq: caldei e assiri, siro cattolici e siro ortodossi, armeni ortodossi e cattolici, presbiteriani, copti, evangelici, ecc.

 

È diventato operativo il 9 febbraio scorso col duplice scopo, come ha spiegato l’arcivescovo siro cattolico di Mosul Georges Casmoussa, «di rappresentare la minoranza cristiana davanti al governo e alle istituzioni e per promuovere il dialogo ecumenico soprattutto sul piano pratico». Insieme agli altri due arcivescovi della città (il caldeo monsignor Emile Nona, successore del martirizzato monsignor Rahho, e il siro ortodosso Gregorios Saliba) dopo i recenti delitti Casmoussa ha indirizzato alle autorità una lettera di vibrata protesta per la scarsa protezione di cui usufruiscono gli iracheni di fede cristiana.


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Il suo pessimismo è tale che poi ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di un intervento internazionale per spingere il governo centrale e quello locale ad agire immediatamente». Ma perché i cristiani di Mosul continuano ad essere bersaglio di violenze brutali?

 

Fra i cristiani stessi circolano due tesi: la prima incolpa i jihadisti iracheni e stranieri ben radicati nella città, dalla quale sarebbero intenzionati ad espellere ogni presenza non islamica; la seconda allude ad una strategia sotterranea dei curdi, che sarebbero dietro agli attacchi ai cristiani di Mosul per convincerli a trasferirsi nella piana di Ninive e nel Kurdistan vero e proprio, dove diventerebbero un utile cuscinetto fra i territori controllati dai curdi e quelli arabi.

Comunque stiano le cose, gli appelli di vari vescovi (soprattutto di monsignor Louis Sako arcivescovo di Kirkuk) all’unità politica dei cristiani sono destinati a cadere nel vuoto anche per questa tornata elettorale: al voto si presenteranno almeno cinque differenti liste cristiane, e cioè il Movimento democratico assiro, il Congresso nazionale caldeo, il Partito dell’unione democratica caldea, il Consiglio popolare caldeo siriaco assiro e la Lista democratica Ishtar che riunisce in coalizione altri tre partiti cristiani.

Non è detto che i cinque seggi parlamentari (su 325) riservati ai cristiani dalla legge elettorale vadano a candidati di questi partiti, poiché ci sono cristiani che si presentano alle elezioni con altre forze politiche. Dei quattro parlamentari cristiani uscenti uno è stato eletto col Pdk (il Partito democratico curdo) e un altro con la Lista Allawi.

 

 

Per la verità i cristiani non sono più frazionisti delle altre entità religiose ed etniche irachene: alle elezioni parteciperanno ben 306 partiti. I favoriti per la vittoria in realtà sono solo tre: l’Alleanza nazionale irachena erede dell’alleanza sciita che vinse le passate elezioni; lo Stato della Legge del premier uscente al Maliki, che ha abbandonato la vecchia alleanza sciita, e il Movimento nazionale iracheno di Iyad Allawi. Seguirà il solito mercato delle vacche, che purtroppo in Iraq prevede anche le auto bomba.