È trascorso più di un anno dall’attacco Israeliano a Gaza, deciso in seguito al ripetersi del lancio di alcuni missili Kassam. Mi ricordo bene di quel periodo, perché per la prima volta questa realtà cosi “nota”, per le tante guerre ed atti di violenza che l’hanno vista protagonista negli ultimi anni, mi ha particolarmente toccato da vicino.
Lavoro a Gerusalemme per l’ONG francescana della Custodia di Terra Santa, impegnata per vocazione a sostenere le comunità cristiane di Terra Santa. Non siamo presenti a Gaza con progetti specifici ma con la guerra in corso abbiamo sentito in modo particolare, come del resto molti altri amici in Occidente, il bisogno di fare qualcosa per sostenere le opere di carità realizzate dai cristiani del posto e dalle comunità di religiosi/e attivi in loco.
Gaza presenta una comunità cristiana dalle antiche radici che risale ai primissimi secoli della storia del cristianesimo. La città fu evangelizzata da San Porfirio, ricordato come primo vescovo di Gaza e da diverse comunità monastiche i cui resti di chiese e monasteri, arricchite da bellissimi mosaici bizantini, sono oggi ancora visitabili.
Attualmente la comunità cristiana conta poco più di 2.500 fedeli, di cui circa 250 sono cattolici. A Gaza City è attiva la Parrocchia Latina oggi gestita da due giovani sacerdoti della comunità del Verbo Incarnato, Padre Jorge e Padre Elias. Il parroco dirige una scuola e parecchie attività per bambini e ragazzi di varie età. Al suo fianco sono presenti le suore delle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta che accudiscono principalmente bambini portatori di handicap ed anziani abbandonati, le suore del Rosario che gestiscono un’importante scuola, e le piccole sorelle di Charle de Foucauld che portano avanti il proprio apostolato tra la gente e le famiglie.
Il nostro ufficio è a Gerusalemme, a pochi chilometri dalla Striscia, ma come tutti l’avevamo conosciuta solo indirettamente attraverso le cronache giornalistiche e i racconti degli amici religiosi che transitano in Israele periodicamente per rinnovare i propri permessi di soggiorno.
Motivati dall’esempio di Andrea e Lorenzo (amici delle Famiglie della Visitazione), che da tempo si recano periodicamente a Gaza, abbiamo richiesto il permesso per entrare nella Striscia passando dal valico israeliano a Nord di Heretz. Dopo 2/3 mesi di attesa e parecchie telefonate di sollecitazione abbiamo ricevuto conferma di essere stati autorizzati nella lista d’ingresso.
Ci siamo presentati al valico venerdì mattina e dopo i consueti controlli e passaggi previsti dalla sicurezza israeliana abbiamo superato il confine. Ad attenderci dall’altra parte c’era l’autista e guardiano, uomo tutto fare della Parrocchia. Con lui abbiamo iniziato un giro di perlustrazione lungo i 40 km di Striscia percorrendo la strada interna che riscende e quella costiera che risale lungo la costa. Lungo la strada abbiamo osservato diversi edifici distrutti (soprattutto al Nord). Tutte le istituzioni pubbliche sono state rase al suolo come alcune abitazioni private, scuole ed ospedali. Particolarmente colpite sono le infrastrutture, l’aeroporto già distrutto in precedenza, il porto e le poche strade che percorrono il piccolo territorio. I carri armati hanno inoltre distrutto campi, uliveti e coltivazioni durante l’attacco via terra che ha percorso il territorio da est verso ovest.
Nonostante questo, la prima impressione è quella di una città/area che funziona, con tanta vita e movimento. Molto è stato sistemato e ripulito. L’impressione è quella di una realtà in cui coesistono un discreto benessere e vivacità. La gente è ben vestita, le zone abitate abbastanza pulite ed ordinate.
Le città che abbiamo oltrepassato – Gaza City e Rafah – sono piene di negozi con prodotti di ogni tipo. Le botteghe sono piene di frutta, verdura, alimenti diversi, vestiti e tutto ciò che si può immaginare di trovare in una città del Medio Oriente, fino agli eccentrici gioielli in stile orientale in oro ed argento. Siamo così rapidamente arrivati fino al confine con l’Egitto, anch’esso quasi sempre chiuso. Viene aperto sporadicamente per alcuni passaggi autorizzati di merci e persone. Il confine è notoriamente – ma ben oltre ogni aspettativa – superato da decine se non centinaia di tunnel, utilizzati per immettere sul commercio beni di primaria e necessità e non.
Anche l’Egitto, come tutto l’Occidente e diversi paesi arabi, fa fatica a dialogare con Hamas ed instaurare rapporti di frontiera regolari non è semplice. I tunnel sono ad oggi una non-soluzione di compromesso che permette di far sopravvivere gli abitanti della Striscia (circa 1,5 milioni di persone – di cui 1.1 milioni sono rifugiati) senza compromettersi troppo ed affrontare il problema dal punto di vista politico. La soluzione non è certamente di quelle che si possa ipotizzare durino nel tempo.
Venerdì nel primo pomeriggio arriviamo in parrocchia. Incontriamo subito Suor Teresina, delle suore della carità. Viso giovane e lieto, originaria dell’India, in Terra Santa da tre anni. Ci fa entrare in casa dove subito ci abbracciano e rincorrono una nuvola di bimbi e bimbe da loro teneramente accolti. Sono tutti bambini con gravi problemi fisici e mentali, che vengono rifiutati dalle famiglie di origine. Un bambino portatore di handicap nel mondo arabo è stigmate sociale, disonore e vergogna. In una casa poco distante, le cinque suore (provenienti da India, Madagascar, Ruanda e Malta) accudiscono anche anziani abbandonati e portano avanti un importante lavoro di supporto delle famiglie. Le suore infatti visitano, ascoltano, portano sorrisi, così rari da queste parti, e svolgono tanti piccoli gesti concreti, che si chiamano carità. Al piano terra della loro abitazione hanno invece organizzato un asilo che accoglie un centinaio di bambini. Le missionarie della carità sono presenti a Gaza dal 1973. Successivamente hanno aperto altre case a Nablus, Gerusalemme, e Betlemme.
Nel tardo pomeriggio ci rechiamo alla messa feriale che quattro volte alla settimana viene fatta in un quartiere nord di Gaza City abitato da profughi della guerra del 1948, dove risiedono diversi cristiani. C’è una piccola cappella, all’interno di un cortile, custodita dalle piccole sorelle di Charle de Foucauld. La navata centrale si riempie rapidamente di donne di tutte le età e di uomini e ragazzi che si dispongono in fondo alla Chiesa. Ci sono in tutto una settantina di persone e sono tutte ben vestite e molto distinte. Al termine della messa come di consuetudine tutti si fermano a bere un tè e ci conosciamo. La maggioranza dei presenti sono laureati, in passato erano abituati a muoversi e a viaggiare. Molti hanno famigliari in Israele, Palestina, Egitto, Giordania e talvolta all’estero in paesi lontani quali Stati Uniti ed Australia. Il dolore maggiore è quello di non potersi rincontrare, ormai da diversi anni. Nessuno ottiene il permesso per uscire dalla Striscia, eccetto in rare eccezioni.
Si capisce subito che il problema non è economico. È difficile trovare un lavoro stabile, tuttavia non si lamentano di questo. Soffrono piuttosto, e con grande dignità, per il fatto di non essere liberi e di essere dimenticati. Sanno che il mondo non si ricorda di loro come di persone normali e li considera parte integrante di un sistema che vede oggi al governo alcuni estremisti islamici. Sono per questo giudicati negativamente e quasi colpevolmente. Non sono liberi di uscire, di muoversi, di progettare un loro futuro in nesso con il mondo per effetto del conflitto con Israele ed ultimamente anche per la chiusura Egiziana, ma non sono liberi neppure di esprimersi. Hamas non permette critiche. Chi non è iscritto nelle proprie file è considerato un nemico e non riceve gli aiuti economici e l’assistenza che molti altri invece ricevono. Molti cristiani e musulmani moderati hanno perso il lavoro nell’esercito, nei ministeri, negli ospedali, nelle scuole.
Nessuno è libero di esprimere giudizi. Non esiste libertà di informazione. Le organizzazioni no profit locali si devono muovere con molta attenzione. Alcune settimane fa un responsabile di un’organizzazione umanitaria interna è stato malmenato, gambizzato (gli hanno sparato alle gambe) e gettato in mare.
Tutte le moschee, le scuole pubbliche, le università sono controllate dal movimento islamico.
La striscia vive di aiuti, l’apparente benessere commerciale viene alimentato da donazioni internazionali che sempre più vengono gestite in esclusiva dal governo locale di Hamas. In particolare tutti quei finanziamenti che arrivano cospicui da alcuni paesi arabi – Qatar, Emirati Arabi Uniti, Siria, Iran. Gli aiuti sono gestiti arbitrariamente ed in modo non trasparente.
È ormai evidente a tutti che la corruzione che ha caratterizzato per decenni i leaders di Al Fatah, sta oramai in ugual modo dilagando tra i leader di Hamas con l’aggravante di un’ideologia che fa leva sulla religione, concepita come adesione ceca in cui la libertà non è contemplata. L’intelligenza e la ragione del singolo non sono apprezzate né tanto meno chiamate in causa.
Sabato pomeriggio abbiamo avuto la fortuna di conoscere due distinte signore musulmane, di buona famiglia, da tempo attive nel portare aiuti ai più poveri. Dopo la guerra dello scorso anno, hanno iniziato a visitare le famiglie colpite dei campi profughi del Nord. In molti hanno perso le proprie case e vivono tutt’ora in tende e baracche collocate a lato delle proprie abitazioni in rovina. Con loro abbiamo visitato un paio di famiglie con 8-9 figli ciascuna. Uno dei padri di famiglia ha perso entrambe le gambe nel corso della guerra. Si trattava di gente povera e semplice, con nessun referente politico e partitico. Non ricevono aiuti e nessuno si sta preoccupando di offrir loro un nuovo alloggio.
Del resto è pur vero che riparare gli edifici colpiti e costruire nuove case è molto difficile, soprattutto per la mancanza delle materie prime: cemento, tondini, mattoni, legno. Tutto questo materiale manca e non viene fatto passare dal valico israeliano e raramente da quello egiziano.
Padre Jorge ci ricorda che per la minoranza cristiana la vita a fianco di una maggioranza musulmana governata da estremisti religiosi non è affatto semplice. Capita di essere insultati e al primo fraintendimento anche malmenati. Gli episodi di discriminazione, anche istituzionali, aumentano. Nel corso delle festività natalizie è stato distribuito un volantino dalle autorità locali che proibiva a tutti di salutare e far gli auguri ai cristiani. “È stato uno shock molto forte per tutti noi” – dice il parroco – ma anche e soprattutto per i musulmani moderati, professori delle nostre scuole cristiane e per i numerosi amici dei parrocchiani.
L’attuale governo ha messo in atto nuove forme di pressione perché i cristiani si convertano all’Islam, soprattutto nelle università e tra i più giovani. A chi si converte viene offerto un buon lavoro, un buon matrimonio e benefici economici di vario genere.
Le scuole cristiane sono due, quella gestita dal Patriarcato Latino, di cui il parroco è direttore, e quella gestita dalle Suore del Rosario, la cui fondatrice Maria Alfonsina Danil Ghattas (Maria Soultaneh) è stata recentemente beatificata a Nazareth. Si tratta di un ordine nato in Terra Santa che annovera tra le sue file molte vocazioni locali.
Le suore appartenenti a quest’ordine a Gaza sono tre: Palestinesi e Giordane. In quanto arabe hanno molta più difficoltà ad ottenere il visto di ingresso nella Striscia. Da quattro anni il loro permesso va rinnovato ogni due mesi, allo scadere dei quali ognuna di loro deve recarsi a Gerusalemme ed attendere dai dieci ai venti giorni il rinnovo concesso dal ministero degli interni. Gli israeliani non considerano la loro appartenenza alla Chiesa Cattolica ed ad un ordine religioso un elemento di supporto per una valutazione positiva della pratica. Non vengono fatte considerazioni distinte per cristiani e musulmani, laici e religiosi. Il fatto di prodigarsi per opere di carità non aiuta e non viene considerato un elemento di favore.
Suor Nabia e Suor Davida sono molto preoccupate. La loro scuola è molto vicina a due moschee ed adiacente ad un quartiere di religiosi e militanti di Hamas. La loro sicurezza e quella degli studenti è talvolta messa a repentaglio per effetto di passaggi illeciti di armi e quant’altro.
Sabato sera veniamo invitati a cena da un gruppo di giovani coppie che aiutano attivamente in parrocchia. Si parla delle loro iniziative, del loro lavoro, dei loro figli. Nessuno si lamenta e chiede aiuto. L’impressione è quella che abbiano tutti una fede forte, semplice. Mi colpisce che molti di loro siano soliti recitare insieme il rosario, in famiglia e tra amici.
Una giovane mamma mi racconta in disparte che è molto triste perché da cinque anni non vede i suoi fratelli che vivono a Ramallah. Anche lo scorso Natale ha riprovato a chiedere il permesso per far visita alla Basilica della Natività a Betlemme, talvolta concesso ai cristiani da parte del governo di Israele. Anche quest’anno il permesso è stato rifiutato e mi confessa di aver pianto e sofferto molto. Mi ha detto che deve aspettare di compiere 35 anni per avere maggiori possibilità (ne ha 32).
Nel corso della serata spesso salta la luce che verrà presto a mancare definitivamente. Mi raccontano che la cosa accade regolarmente e che per parecchie ore al giorno non c’è corrente ed energia elettrica. Si utilizzano molto le pile e si fa un romantico uso di candele.
Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Dante – Purg., I)
Questo il punto. Il cuore dell’uomo e della donna cerca e lotta per la libertà. «Non abbiamo bisogno di soldi, ma di giustizia e di libertà», questo il refrain che accomuna tutti gli incontri del fine settimana trascorso a Gaza, unitamente al particolare desiderio degli amici cristiani di essere ricordati, di avere amici che pregano con loro, che soffrono con loro e sappiano portare letizia nei loro cuori.
È possibile essere liberi in qualsiasi situazione di ingiustizia e sofferenza, loro lo sanno e lo testimoniano con coraggio.
(Tommaso Saltini)
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Come aiutare:
http://www.custodia.org/ats/striscia-di-gaza-%e2%80%93-sostegno-ai-cristiani/