Centinaia di morti. Ancora una mattanza in Africa, dove gli odi religiosi, politici e tribali questa volta insanguinano la Nigeria. Sarebbe di almeno 500 morti, stando alle fonti della Croce rossa, il bilancio della spietata aggressione condotta domenica notte da gruppi fanatici musulmani contro gli abitanti, in maggioranza cristiani, del villaggio di Dogo Nahawa, a sud di Jos, nella parte centrale del paese. Proprio là dove gli stati musulmani, in cui vige la sharia, toccano quelli meridionali, l’equilibrio fragilissimo della convivenza rischia ogni volta di saltare. Ma non si deve cadere nell’errore di dar la colpa solo alla religione. «La gente è strumentalizzata dalla politica – dice Piero Gheddo, missionario del Pime – che porta alle estreme conseguenze la differenza religiosa».
Padre Gheddo, perché questo massacro? È odio anticristiano, etnico o politico?
Questi elementi ci sono tutti. Ma per spiegare questa violenza bisogna fare un passo indietro. La Nigeria risente di una somma di problemi che si trascinano dal periodo coloniale. Gli inglesi l’hanno creata a tavolino unendo il nord del paese, fortemente islamizzato, con il sud a maggioranza cristiana. La storia successiva del paese ha fatto il resto e ha acuito le divisioni, che prima non erano sentite.
Si spieghi.
Mentre nel nord i musulmani hanno progressivamente conquistato spazio e si sono imposti, anche per aver mandato via molto cristiani, diventando la quasi totalità, nel sud molti indigeni si sono convertiti al cristianesimo, protestante o cattolico. Questo divisione territoriale ha creato i presupposti per l’acuirsi delle differenze che sono esplose in seguito.
In che modo?
La Nigeria del sud è diventata la parte più sviluppata del paese, e non solo per la maggiore presenza di risorse naturali e di materie prime. Il fattore religioso ha giocato un ruolo fondamentale: il sud si è sviluppato passando dall’animismo al cristianesimo, mentre il nord a maggioranza islamica è rimasto fermo. Non dimentichiamo che il 70-80 per cento delle scuole in Nigeria è tenuto dalle missioni cristiane. Le scuole missionarie hanno creato un popolo che «risponde» al mondo moderno. Ma questa differenza non giustifica ancora la contrapposizione radicale che c’è oggi.
Da dove tra origine allora l’odio che alimenta i massacri?
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La gente è strumentalizzata dalla politica, che porta alle estreme conseguenze la differenza religiosa. Ma i massacri non sono causati dalla diversità di fede. Pensiamo soltanto alla frattura politica che divide i vertici del paese, il presidente ad interim Goodluck Jonathan, cristiano, e il presidente musulmano Umaru Yar’Adua. Nella zona centrale del paese in cui le parti si incontrano, come a Jos, l’odio diventa generalizzato: politico, etnico e religioso. Il paese è precipitato in una spirale di massacri reciproci, di parte cristiana e di parte musulmana. 12 stati su 36 sono oggi basati sulla sharia.
Cosa può dire della componente religiosa cristiana?
A parte le azioni o le reazioni di rappresaglia, che sono da condannare, da parte cristiana c’è uno sbaglio enorme. Il dramma è che le chiese protestanti hanno generato i cosiddetti pentecostali, che non sono un problema solo in Nigeria ma in tutta l’Africa. Per i pentecostali esiste solo la Bibbia. Il cristianesimo produce sempre una rivoluzione nel mondo pagano. Se il seme cristiano è gettato dai cattolici, crea la chiesa, basata non solo sul libro ma sulla tradizione e sull’autorità; gettato nell’humus dominato dal protestantesimo genera, spesso e volentieri, sette pagane con infarinatura cristiana e fanatica, che combattono i musulmani facendo propaganda esattamente come loro. È così in Nigeria, in Algeria, in Marocco.
Dunque la fede dei pentecostali com’è vista dagli altri?
Come un’aggressione alle loro tradizioni. Battezzano e convertono diffondendo fanatismo religioso, attitudine alla violenza e alla conversione forzata. Questo urta tremendamente il mondo islamico, che già vive un conflitto drammatico con la politica moderna. Un conflitto che pone molte domande, alle quali l’estremismo è la risposta più semplice.
Qual è la posizione dei cattolici?
Le rispondo facendo mio quel che ha detto mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos. Ha negato come motivazione principale degli scontri che una chiesa sia stata attaccata e bruciata. Questo può essere generalizzato. Molti vescovi sono convinti che i contrasti non siano da attribuire alle religioni come tali, ma che vadano ricondotti a cause precise. Nel caso, i musulmani di etnia Hausa che arrivano da nord. La realtà è che la fede cattolica contiene una capacità di convivenza pacifica e di costruzione che le altre religioni non conoscono, se non dopo una lunga e difficile maturazione.
Come spiega questa differenza del cattolicesimo?
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La fede cattolica favorisce l’educazione. Non parlo qui del dogma, ma dell’approccio critico che essa sviluppa in noi. Non c’è solo il libro, ma la parola viva, Cristo presente ieri come oggi. La fede forma in chi la incontra una nuova personalità. Insegna che la coscienza va sempre rispettata. La chiesa cattolica non è un gruppo autonomo che decide cosa pensare e cosa fare, ma ha un’autorità. C’è il papa, ci sono i vescovi, c’è la conferenza episcopale. E molto in Africa sta cambiando.
Cosa intende dire?
Qualche anno fa ho incontrato in Senegal il capo degli anglicani locali. «Non intendiamo più stare con la nostra chiesa di Londra – mi ha detto -. Da quando l’Inghilterra ha ammesso al sacerdozio le donne e da quando queste possono anche diventare vescovi, ci stiamo federando con le chiese protestanti anglicane della Nigeria». In Africa molte chiese riformate si stanno allontanando dall’anglicanesimo e si riavvicinano alla chiesa cattolica.
Tornando alla Nigeria. Cosa serve per uscire dal dramma di questi conflitti che sembrano senza fine?
Occorre essere testimoni. E poi fare opera di educazione. Solo l’educazione porta sviluppo e costruisce. È l’esatto opposto di quello che fa la Cina, che arriva in Africa con migliaia di operai, fa grandi opere per i governi, prende le materie prime e se ne va senza lasciare nulla, senza trasmettere nessuna tecnologia, senza fare alcuna alfabetizzazione.