Un ragazzo cileno ha pugnalato a morte il fratello maggiore Manuel Gonzalez Munoz, di 18 anni, durante una vivace discussione per decidere chi avrebbe dovuto usare la PlayStation. L’episodio è avvenuto martedì sera a Santiago del Cile. Il giovane, di 16 anni, del quale sono state rese note solo le iniziali (R.A.), si trova ora in una delle strutture del Servizio nazionale per i minori. È accusato di omicidio semplice e rischia una condanna da tre a cinque anni di carcere. I due ragazzi, considerati a “rischio sociale”, avevano trascorso dieci anni in un centro di rieducazione, per poi essere presi in affidamento da Valerie Michael, una volontaria belga. In assenza della donna è scoppiata la lite: Manuel ha acceso la PlayStation per giocare e il fratello, irritato perché non aveva dato il suo consenso, lo ha colpito con un coltello al torace. Il giovane assassino ha detto alla polizia di aver perso il controllo e di essere pentito.



Al momento dell’omicidio Valerie Michael, nella cui abitazione vivevano i fratelli, si trovava in Belgio dove aveva alcuni impegni. Alle 18.30 di martedì un amico dei ragazzi si è recato nella loro casa per giocare alla PlayStation a “Need for Speed”, un videogioco di corse clandestine. Il testimone ha dichiarato alla squadra omicidi che “alle 21.30 l’adolescente ha chiesto a Manuel di fargli usare la PlayStation, domandando al tempo stesso dove l’avesse lasciata. Il 19enne ha risposto che la stava usando lui. Manuel si è arrabbiato, cercando di mantenere il controllo del gioco, con un conseguente scambio di insulti tra i due, che poi si è trasformato in uno scontro fisico”.

 



Il testimone ha aggiunto che i fratelli si sono calmati per un momento, ma poco dopo hanno ripreso la lotta in cucina. “Entrambi sono caduti – ha riferito – e Manuel ha preso il sopravvento incominciando a picchiare l’adolescente. Poi il più giovane ha afferrato un coltello da 22 centimetri che si trovava sul pavimento e lo ha conficcato nel corpo del fratello”.
Dopo la colluttazione, ha continuato l’amico, “ho provato a chiamare il 133 (il numero d’emergenza della polizia), mentre il fratello più giovane è andato a chiedere aiuto a un vicino. Ma siccome la linea era occupata, sono andato da lui e mi ha detto di chiamare l’ambulanza”. I paramedici sono arrivati poco dopo, ma Manuel Munoz era morto.
Laconico il commento rilasciato mercoledì da Valerie Michael: “Non potete immaginare cosa significhi perdere un figlio”. Il Servizio nazionale per i minori ha annunciato che presenterà una misura di protezione per tutelare il detenuto e controllare la legittimità del suo arresto.
Intervistata da “La Tercera”, uno dei quotidiani più diffusi in Cile, la madre naturale dei due fratelli, Beatriz Gonzalez, ha dichiarato: “Non riesco a capire come ciò sia potuto accadere. Da sempre hanno condiviso la PlayStation e non hanno mai litigato. Ma con questi giochi va a finire così, distorcono la mente dei ragazzi”. E ha aggiunto la donna: “Nel 1996, sono stata costretta a lasciare i miei due figli nella casa d’accoglienza del Sacro Cuore di Gesù, a Concepción, perché non avevo i soldi per mantenerli. Due mesi dopo, li ho ripresi con me. Ma non è stata l’ultima volta che ho dovuto delegarne la cura a qualcun altro. Nel 2000 la mia famiglia si è trasferita da Mulchén a Santiago, e i miei cinque figli sono stati affidati a un altro istituto, nella città di Santa Rosa”.

 



 

 

Nella struttura lavorava come volontaria la cittadina belga Valerie Michael, 38 anni. La donna si è affezionata ai due ragazzi al punto da prenderli nella sua casa. Incaricandosi dell’istruzione e della cura della loro salute. Roberto Munoz, uno dei cinque figli di Beatriz Gonzalez, ha raccontato che “il resto dei fratelli sono tornati a vivere con la nostra mamma, tranne loro due (Manuel e R.A., ndr)”. Il sogno di Manuel, il 18enne rimasto accoltellato, era quello di diventare un poliziotto ed era molto appassionato di hip-hop. Il fratello più giovane voleva invece studiare legge.
I pm cileni hanno chiesto di sottoporre a perizia psichiatrica il 16enne accusato di omicidio. Il procuratore Matìas Moya ha detto che “la perizia cercherà di stabilire se il minorenne fosse nel pieno possesso di tutte le sue facoltà mentali”. Moya inoltre parteciperà a una riunione con la squadra omicidi della polizia investigativa cilena con lo scopo di scoprire se il ragazzo avesse partecipato a episodi di bullismo nella scuola.
Ieri, il direttore del Servizio nazionale per i minori, Francisco Estrada, ha dichiarato che “presenteremo una richiesta di protezione per i ragazzi che vivono con questa donna di origine belga”. Estrada ha aggiunto che la situazione degli adolescenti “è contraria alla legge ed è necessaria per la famiglia una decisione del tribunale”.
Sempre nel pomeriggio di ieri sono state celebrate le esequie di Manuel Munoz in una chiesa evangelica di Las Condes, dove Valerie Michael è arrivata direttamente dal Belgio.

 

 

 

L’avvocato di Valerie Michael, Gabriel Alemparte, ha sottolineato che “la mia cliente è devastata dalla notizia. Tra lei e i ragazzi c’era un rapporto di amore e di comprensione”. La madre naturale di Manuel Muñoz, Beatriz Gonzalez ha chiesto che i resti del figlio siano sepolti a Mulchén.
L’episodio di Santiago riapre il dibattito sul rapporto tra videogiochi e violenza.
Eugene Provenzo, professore di educazione all’Università di Miami, nel suo “Video Kids: Making Sense of Nintendo”, ha accusato i videogames di spingere i ragazzi alla follia, e di erodere il loro spirito di squadra e la loro moralità. Questo perché nel mondo dei videogiochi “ogni persona pensa per sé. È necessario uccidere o essere uccisi, consumare o essere consumato, combattere o perire”. La continua necessità di sparare, senza un vero motivo, senza nessuna necessità di ragionare, che caratterizzerebbe, secondo Provenzo, tutti i videogiochi, sottoporrebbe i giovani ad un vero e proprio lavaggio del cervello, creando degli automi capaci unicamente di pensare e vivere egocentricamente, pronti ad esplodere ogni momento in insani atti di violenza. Anche la figura dell’eroe, che da solo combatte contro i malvagi, sarebbe altamente dannosa in quanto inculcherebbe nei ragazzi una pericolosa sfiducia nella legge e nei tradizionali e legali sistemi di giustizia.

 

 

 

Le tesi di Provenzo sono state più volte riprese sia negli Stati Uniti che in altri Paesi, tra i quali anche l’Italia. Anna Oliviero Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo dell’Università La Sapienza di Roma, riecheggiando certi argomenti dell’autore di Video Kids, ha affermato che la cosa più preoccupante dei videogiochi è la filosofia che li pervade: una filosofia in cui ciò che principalmente conta per vincere è essere violenti e nuocere agli altri.
“Non importa ragionare troppo – afferma la psicologa – l’importante è sparare ed uccidere”. Questo continuo incitamento alla violenza, che rappresenterebbe l’unico modo per ottenere il successo, potrebbe portare i ragazzi ad “abituarsi in una sorta di inquietante adattamento cognitivo”. A questo proposito la Ferraris cita una ricerca americana effettuata su un campione di soldati che combatterono in Vietnam e durante la Seconda Guerra Mondiale.
Secondo questo studio, i primi, nel 95% dei casi sparavano senza pensare, “perché addestrati con metodi in stile videogioco”, mentre solo il 20% dei secondi teneva lo stesso comportamento; il restante 80% pensava a cosa stava facendo prima di sparare.
(Pietro Vernizzi)