La sfida lanciata da Barack Obama al mondo è senza precedenti: favorire la completa denuclearizzazione del pianeta. Nel giro di poche settimane il presidente americano si impone come l’alfiere di questa svolta epocale, soprattutto se rapportata alla storia recente delle relazioni internazionali, che appena un ventennio fa è uscita dall’incubo dell’olocausto atomico e della mutua distruzione che per cinquant’anni, da Yalta e dalla divisione del mondo in blocchi, ha condizionato le dinamiche ed i rapporti tra Stati.



Esattamente un anno fa, dalla principale piazza di Praga, Obama parlava del sogno di un mondo senza armi atomiche. Ieri, sempre nella capitale ceca, l’inquilino della Casa Bianca e il suo collega russo Medvedev hanno firmato la revisione del Trattato Start, pietra miliare del processo di scongelamento tra le ex superpotenze nucleari, scaduto nel dicembre 2009 e che rappresentò il primo autentico passo nel percorso di riduzione degli armamenti atomici. Bush padre e Gorbaciov, appena quattro mesi prima della dissoluzione dell’Urss, si impegnarono a diminuire del 30 per cento i rispettivi stock di testate nucleari e a condizionare l’utilizzo dei cosiddetti vettori, ovvero sottomarini e bombardieri strategici.



Lo Start 2 prevede una ulteriore, significativa riduzione nel numero di testate disponibili e un processo di mutuo controllo sul disarmo. Rimarranno, in ogni caso, nella disponibilità di Usa e Russia circa 1500 missili armati: una enormità, se si pensa che il pianeta potrebbe essere totalmente cancellato dall’esplosione contemporanea di meno di una decina di bombe atomiche. Rimane comunque il dato simbolico di questo importante appuntamento. Per sgomberare il campo da qualsiasi critica, Obama ha anche voluto approvare alla vigilia del vertice di Praga la nuova Nuclear Posture Review, il documento cioè che disegna la dottrina di impiego operativo delle armi nucleari.



Se con George W. Bush la NPR aveva esteso il concetto della guerra preventiva anche al caso estremo della risposta atomica ad una minaccia particolarmente impellente o distruttiva, Obama ha voluto chiarire che l’armageddon sarà davvero l’ultima ratio nella strategia militare americana, impiegata comunque solo per scopi difensivi.

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Tale dottrina, hanno chiarito i vertici dell’Amministrazione americana, non si applicherà però ai governi che non hanno sottoscritto i principali accordi internazionali in materia di non-proliferazione. Un modo per dire a Iran e Corea del Nord di non farsi illusioni rispetto alla capacità Usa di rispondere colpo su colpo a qualsiasi tipo di minaccia.

 

Appena una settimana dopo, il 12 aprile, lo stesso presidente Usa convocherà a Washington una conferenza sulla sicurezza nucleare, che vedrà convergere 44 capi di Stato e di governo per discutere il tema delicato della messa in sicurezza degli arsenali. Il pericolo che le organizzazioni terroristiche possano venire in possesso della bomba sporca rimane una delle minacce principali segnalate dall’intelligence. Infine, a maggio, si svolgerà al Palazzo di Vetro dell’Onu la conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione nucleare, un accordo che risale alla Guerra Fredda e che, se adeguatamente aggiornato ed implementato, è in grado di fissare procedure di controllo e supervisione internazionale per l’utilizzo a scopi esclusivamente civili dell’energia nucleare.

 

Dopo tutti questi appuntamenti, concentrati in poche settimane, potremmo davvero trovarci in un mondo diverso, forse meno pericoloso di quello attuale. La sfida principale risiede nell’aggregare un consenso ampio ed una convergenza su un sistema di regole che per adesso rimane arbitrario. Sullo sfondo della grande sfida lanciata da Obama ci sono i fantasmi delle minacce costituite dal regime iraniano e da quello nordcoreano, nonché la fragilità di alcuni governi che dispongono di testate nucleari, come il Pakistan. Insomma, tutti questi appuntamenti non faranno sparire la minaccia della distruzione del pianeta: migliaia di testate atomiche in giro sono moltissime, i terroristi potranno ancora voler impossessarsi della bomba sporca o rovesciare governi in Paesi fragili o falliti. Ma la carica simbolica di questi eventi può costituire la piattaforma ideale per una nuova convergenza in un’arena internazionale sempre più caotica, riottosa e pericolosa.