“E’ chiaro che il Governo laburista abbia perso il suo mandato di Governo, è evidente che il paese vuole cambiare e chiede una nuova leadership”. Questo è stato il primo commento a caldo del leader dei tories britannici, David Cameron, ormai sicuro di essere il vincitore delle elezioni politiche inglesi. E’ la verità, tuttavia il suo 36,1% non basta per festeggiare totalmente la vittoria e per avere la certezza di governare nei prossimi anni.



Nonostante la “Cleggmania” non abbia trovato un riscontro positivo dalle urne, che hanno sancito un secco ridimensionamento delle ambizioni dei liberali, la situazione politica inglese appare più che mai incerta. Il magro bottino dei lib-dem è stato comunque sufficiente a dividere il paese in tre blocchi e a mettere in seria difficoltà un sistema che garantisce un buon grado di governabilità soltanto se il partito vincitore ottiene più del 50% dei seggi. Ora non è assolutamente detto, benché molto probabile, che David Cameron diventi il nuovo premier, non è automatico che Gordon Brown debba lasciare la poltrona ereditata da Tony Blair.



Da tre giorni proseguono i negoziati tra il vincitore e Nick Clegg, che stanno cercando di raggiungere un accordo per la formazione di un Governo di coalizione. Cameron ha ricevuto segnali di apertura da Clegg e dalla maggioranza dei deputati liberali, anche se pare non essere graditissimo alla base del partito. Le differenze tra i due non paiono incolmabili, anche perché le posizioni sembrano poter convergere soprattutto in campo economico.

Brown, che venerdì aveva subito messo le mani avanti dicendo che è suo compito tentare di formare un governo stabile, rimane speranzoso di restare al proprio posto e tenterà la stessa operazione in caso l’idillio liberal-conservatore non dovesse concretizzarsi. Uno scenario certamente non impossibile, ma che suona come un disperato tentativo da parte del premier uscente di rallentare il più possibile la propria uscita di scena, preventivata e preventivabile, visti gli insuccessi di un Governo che è sembrato dover fare i conti più con il fantasma di Tony Blair che con i bisogni del paese. Brown ha governato in un periodo difficilissimo per l’economia inglese, ma la crisi non basta a giustificare quello che costituisce per il Labour il risultato elettorale peggiore dal 1983.



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Questo dovrebbe servire da lezione al nuovo Primo Ministro, da qualunque parte esso provenga. Se toccherà ancora a Gordon Brown, per lui sarebbe logico riprendere il percorso iniziato da Tony Blair e continuare quindi la riforma laburista in direzione post-ideologica. Se la spunterà Cameron, questi avrà il sacrosanto diritto-dovere di dare risalto ai propri capisaldi, dalla difesa della famiglia ad una nuova politica migratoria.

 

Allo stesso tempo in campo economico dovrà dar seguito al proclama di combattere "l’ossessione" del governo laburista per il "Grande Stato", dimostrando davvero di essere lui il vero erede del new labour blairiano. L’auspicio è che il leader conservatore si renda conto del fatto che combattere in maniera sterile e preconcetta contro l’Unione europea sarebbe un gravissimo errore, nonostante le difficoltà oggettive che stiamo attraversando.

 

Ma proprio per questo è fortissimo il bisogno del contributo britannico per un rilancio di un progetto del quale fanno parte da quasi quarant’anni. Cameron deve insomma capire che la spinta dei “tories”, soprattutto sul tema dell’identità e della solidarietà, può diventare decisiva per tutti. In questo senso riapriremo a breve un tavolo di confronto con i gruppi di pensiero legati ai conservatori che li conduca ad una riconciliazione con il Partito Popolare europeo.