Ieri si è insediato un nuovo governo britannico che ha in sé il potenziale per cambiare la politica nel Regno Unito e nel resto dell’Europa. Dopo tredici anni di governo di centro-sinistra del New Labour con Tony Blair e Gordon Brown, il Paese ha ora un governo di centro-destra, formato dalla coalizione tra Conservatori e Liberal-Democratici, guidato dal Primo Ministro David Cameron e dal suo vice Nick Clegg.
Le inconcludenti elezioni della settimana scorsa hanno prodotto, per la prima volta dal 1974, il cosiddetto “hung parliament”, in cui nessun partito ha la maggioranza assoluta nella Camera dei Comuni. L’accordo tra Conservatori e Liberal-Democratici dà vita al primo governo di coalizione dagli anni ‘30, almeno in tempo di pace. A 43 anni, David Cameron è il più giovane Primo Ministro dopo Lord Liverpool nel 1812. I Liberal-Democratici avranno cinque ministri, relativi a settori quali l’economia, le banche, l’energia e l’ambiente.
Fino a lunedì sera è sembrato possibile un accordo tra Liberal-Democratici e Laburisti, se non altro per la visione di centro-sinistra che condividono. Tuttavia, così come il leader dei Lib-Dem, Clegg, rappresenta la destra del suo partito, Cameron è la sinistra dei Tories. Questa coalizione, quindi, indica potenzialmente un significativo riposizionamento della politica britannica verso un centro-destra che ricorda le più ampie tradizioni cristiano-democratiche europee. Anche se sarà difficile che ciò venga apertamente ammesso in una Gran Bretagna sempre più laicista.
A mano a mano che vengono resi pubblici i termini dell’accordo, risulta chiaro che entrambi i partiti hanno abbandonato alcune delle proposte azzardate fatte in campagna elettorale. Così, i Lib-Dem hanno rinunciato all’idea di una imposta sulle proprietà immobiliari dal costo di più di due milioni di sterline, mentre i Conservatori hanno lasciato cadere la proposta di alzare a un milione di sterline la soglia dell’imposta di successione.
Con un deficit che si sta avvicinando quest’anno al 12% del Pil, si tratta di misure che il Paese semplicemente non può permettersi. Nel giro di 50 giorni verrà presentato il programma per gestire il deficit dell’anno in corso, mediante tagli alla spesa pubblica che dipenderanno, però, dalla forza con cui recupererà l’economia.
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Sull’Europa, i due partiti hanno concordato di tenere un referendum nel caso si dovesse decidere su ulteriori trasferimenti di poteri all‘Unione europea. È stata anche esclusa l’entrata nell’euro per tutta la legislatura, cioè fino al maggio 2015. Tutto questo può sembrare una manifestazione di euroscetticismo, ma la realtà è che opzioni diverse non sono realistiche. Tuttavia, la presenza dei Lib-Dem nel governo servirà di per sé ad attenuare le posizioni fortemente antieuropee di una parte dei Conservatori.
Malgrado le prime promesse di un parlamento stabile, e non più “appeso”, fino al 2015, rimane il fatto che tra i due partiti vi è un’alleanza di convenienza per mettere da parte il New Labour e andare al potere. Al contrario di un governo di minoranza dei Conservatori che sarebbe stato tollerato dai Lib-Dem, l’accordo di coalizione è comunque un vero matrimonio, che pochi avrebbero ritenuto possibile fino a qualche giorno fa.
Il Paese ha ora di fronte tre possibili scenari: la nuova coalizione si rompe su divisioni non riparabili, si barcamena senza affrontare riforme radicali, o riavvicina la politica britannica a quella europea su linee democratico-cristiane. Pur senza l’euforia che contrassegnò nel 1997 la promessa di Tony Blair di una nuova aurora, promessa ampiamente mancata, le previsioni in favore del terzo scenario prevalgono, almeno per il momento.