Nati e vissuti nelle caverne. Cinque bambini, il più grande di 11 anni il più piccolo di otto mesi. Vivevano in due grotte scavate dal padre nei pressi del villaggio di Rosales, comune di Turmequé, in Colombia. Sono stati trovati dalle autorità locali lo scorso 14 maggio ma la storia è stata resa nota alla stampa locale solo ieri 31 maggio. Alla base del ritardo nel fornire informazioni, l’evidente riservatezza per un fatto così sconvolgente. I bambini vivevano ignorando completamente il mondo esterno con cui non avevano la minima forma di contatto, in condizioni di salute e di nutrizione decisamente precarie. Dormivano su alcune tavole di legno, per riscaldarsi si stringevano l’uno all’altro e indossavano vestiti di plastica e altro materiale riciclato. Non avendo mai conosciuto l’esistenza di altre persone, riuscire a portarli via da lì non è stata impresa facile, come ha raccontato una delle persone che sono accorse sul luogo dopo il ritrovamento.



Prima che avvenisse la sconvolgente scoperta, cioè undici anni dopo la nascita del primo ragazzo, nessuno era mai stato all’interno delle due grotte. Il sindaco di Turmequé, María Inés Osorio, ha detto che “i bambini sono stati vittime di violazione dei loro diritti. Non è stato facile trovarli, per raggiungerli abbiamo dovuto cercare in molte altre grotte del luogo, facendo una indagine preliminare di tutta la zona”. Probabilmente si sono seguite le tracce del padre, un certo Bernardo Calvucho Ariza. L’uomo, originario di questa zona, aveva vissuto a lungo nella capitale della Colombia, Bogotà. Il suo ritorno in questa provincia del paese, stando a quanto riportato dalla stampa locale, circa ventun anni fa, era purtroppo coinciso con un grave incidente che gli fece riportare danni cerebrali e gli causò un trauma mentale.



 

Per un certo periodo aveva vissuto nella fattoria di famiglia. Poi, quando questa era crollata per la scarsa manutenzione, era andato a vivere in collina e quindi aveva scavato lui stesso le grotte dove aveva cresciuto i figli. Si recava talvolta in paese per fare qualche lavoretto al mercato, e probabilmente in una di queste occasioni qualcuno deve aver capito che “il matto” in realtà nascondeva una vera e propria famiglia. Uno dei figlioli, una bimba di due anni e mezzo, è stata ricoverata in ospedale per malnutrizione, gli altri sono ricoverati in un istituto di assistenza in discrete condizioni fisiche. Un volontario della difesa civile, Alirio Garzon, ha raccontato che quando hanno provato ad accendere una televisione per far loro vedere un cartone animato, i bambini sono fuggiti terrorizzati. Al momento, il padre e la madre sono riusciti a sottrarsi alle autorità.



Abbiamo rivolto alcune domande al dottor Alessandro Meluzzi, psicoterapeuta ed esperto di relazioni umane in merito a questo caso e alle possibilità dei bambini di recupero.  


CLICCA SUL PULSANTE QUI SOTTO PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO

Cinque bambini nati e vissuti in una caverna totalmente isolati dalla società civile. Vengono in mente i casi dei bambini lupo ritrovati nelle foreste e cresciuti dagli animali…

Direi che si tratta di due fenomeni piuttosto differenti. Il bambino adottato e cresciuto da animali in qualche modo cooperanti è diverso dal caso di questi bambini ritrovati in Colombia. Questi bambini, per quanto del tutto isolati dalla civiltà, sono nati e cresciuti in un ambiente umano, con dei genitori, con dei fratelli e quindi non sono cresciuti in una situazione di depauperamento linguistico come il bambino cresciuto con i lupi. Questi bambini della Colombia hanno sicuramente imparato a parlare, hanno imparato una forma di comunicazione, un tipo di relazione interpersonale. Avranno dunque creato un sistema di micro società che assomiglierà sicuramente ai raggruppamenti tribali di tipo pre tecnologico.
 

Il padre però dicono soffrisse di traumi mentali.

Allora bisognerà vedere in che tipo di clima psicologico questi bambini siano cresciuti, per capire il loro stato di salute mentale e la possibilità di integrarsi nel mondo civile. Bisogna vedere se il clima in cui vivevano era un clima di paura, oppure paranoico con la paura dell’altro o ancora che tipo di disturbo mentale avesse il padre e se la madre subiva solo una sorta di sottomissione oppure era anche lei in relazione con la pazzia del marito.

Per cui questi bambini hanno la possibilità di reintegrarsi nella vita moderna…

Il linguaggio umano si impara entro il quarto o quinto anno di età, dopo non è più possibile. Anche un tipo di addestramento linguistico, in una persona che non ha avuto alcuna educazione al linguaggio, andrà ad impattare con un imprinting mentale che non gli permetterà un adeguato apprendimento del linguaggio. Per cui questi bambini hanno delle possibilità. La rieducazione alla civiltà andrà fatta in modo graduale. Nel caso di questi bambini, siamo davanti a una degli ultimi esempi di incontro in un pianeta globalizzato fra due livelli di civiltà, di evoluzione umana, separati da un gap millenario. Come quando venti o trent’anni fa si scoprivano alcune tribù che vivevano ancora a livello preistorico.

 

Leggi anche: SCUOLA/ 1. Nove lingue a 9 anni? La scuola del futuro può cominciare subito, di M. Cerv

 

Leggi anche: SCUOLA/ L’esperto: con Edimar anche i "bambini di confine" imparano come gli altri

 

Leggi anche: DELITTO TORINO/ Meluzzi: quando la vita è un videogioco si perde il senso della realtà

 

Leggi anche: ARCHEOLOGIA/ Quando gli esperti fanno flop: falsi storici e bufale, ecco le dieci più eclatanti