L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola
Dieci di luglio, sulla strada statale da Cordoba a Granada. La N-432 è un nastro d’asfalto lucente sotto il sole. Veniamo dalla Meseta, e ci siamo abituati alle sue distese desertiche e riarse. I campi di girasoli che improvvisamente si allargano attorno a noi ci sbalordiscono con il loro oro. Si perdono all’orizzonte le schiere di girasoli: bruciano docili nell’aria ardente dell’Andalusia.
La N-432 sale e scende con dolcezza fra le colline; rari camion lenti e polverosi, e nessun altro, pare, in viaggio stamane alla volta di Granada. Il termometro dell’auto segna 43 gradi. Il sole acceca e incombe sugli uomini, ma le distese di girasoli lo seguono con le corolle spalancate, come devote al loro dio.
La strada procede verso sud – noi andiamo avanti adagio, soggiogati da questa luce sovrana. Sulle colline ora compaiono gli ulivi: schiere di ulivi in geometria perfetta, in linee parallele, all’infinito. Sembra un esercito disciplinato questo schieramento di ulivi. Come testuggini di esercito romano che occupino in pace le colline – le radici avvinghiate alla terra bollente.
E vai lungo il nastro lucente senza fretta. Il volante sotto le mani scotta, e nello specchio retrovisore, sulla strada, nessuno. Solo sulla sommità dei colli antiche rocche e castelli – per sempre di vedetta contro un nemico da lungo tempo scomparso.
Ci fermiamo in un bar che sembra un saloon del West, con la piazzola polverosa e bollente, e solo due avventori immobili come statue al bancone. La vecchia padrona ha la faccia segnata da settant’anni di spietato sole. Riparti, avanzi piano, ipnotizzata dalla N-432 – mentre ti viene il dubbio che per quanto bella sia Granada, non lo sarà quanto questa strada deserta che procede e ti guida come un binario, verso un orizzonte infinito.
L’apparizione è improvvisa. Davanti a noi, nel varco fra due colline, il nastro della strada sembra sbarrato da una mole spaventevole e immensa. È la Sierra Nevada: altissima e candida, nel caldo torrido, di neve e di ghiacci; così che sembra non appartenere a questo orizzonte andaluso.
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Una straniera, che non prevista tagli di colpo il tuo tranquillo cammino. Un soffio di paura: quanto allusiva è quella insormontabile barriera, e fredde e inarrivabili, ti immagini, le sue muraglie di roccia.
Poi Granada ti si allarga davanti, mediterranea e bollente, con il profilo arabo della Alahambra a suggerire giardini colmi di profumi intensi, e dense lente notti nei ginecei regali. Ma con lo sguardo tu torni a quella mole muta all’orizzonte, sulla destra: ombra imponente, onda di tsunami pietrificata per sempre a un cenno impercettibile di Dio, al primo giorno, forse, della creazione.
E la sensuale profumata Granada, città degli uomini, città splendidamente carnale, nella memoria ti resta come sospesa sotto alla sua algida Sierra. La straniera che da lontano guarda i bei giardini di aranci, e impassibile aspetta.