Muoiono ancora soldati, sul fronte afghano; soldati italiani. Due genieri: il primo maresciallo Mauro Gigli, e Pierdavide De Cillis, caporalmaggiore. Facevano parte di un team Iedd (Improvised Explosive Device Disposal): esperti in grado di rimuovere e disinnescare ordigni esplosivi improvvisati, i famigerati Ied. Una delle armi preferite dai talebani. Uno tra gli strumenti di morte, in questa guerra, più fatali. Lo stesso che ha tolto loro la vita, compiendo così il disegno spietato di terroristi spietati. Per i quali, in Afghanistan, come in Iraq, i genieri sono tra i principali ostacoli da far fuori.
Con loro, pare siano morti anche due afghani. Non è ancora chiaro se si tratti di militari o civili, né la notizia è stata confermata. E’ rimasto coinvolto nell’attentato il capitano Federica Luciani del 2° reggimento genio pontieri di Piacenza. Se l’è cavata con lievi escoriazioni. Si allunga così la lista dei nostri soldati caduti in Afghanistan. Sono 29, adesso, da quando, nel 2002, inviammo il primo contingente. 19, di questi, sono stati uccisi dai talebani.
L’ORDIGNO E’ IN BELLA VISTA. MA E’ UNA TRAPPOLA – LA DINAMICA – Injil, un villaggio a circa 8 chilometri da Herat. Sono circa le 20.00 locali. La polizia afghana nota la presenza di un ordigno rudimentale. Decide di chiedere l’ausilio dei nostri genieri. Un team del 3° Reggimento Genio, composto da 36 militari parte in missione, su 8 veicoli blindati “Lince”. Lo strumento di morte è posto in bella mostra. Da lì a poco, si scoprirà trattarsi di uno specchietto per le allodole. Una trappola. Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis lo individuano, e lo neutralizzano. Senza troppa fatica. Quando, tuttavia, perlustrano la zona circostante, l’esplosione di un secondo ordigno li investe in pieno, dilaniandoli. Non si sbilanciano le fonti militari sulla dinamica esatta. Sono, tutt’ora, in corso accertamenti.
E’ molto probabile, in ogni caso, che lo scoppio della seconda bomba sia stato comandato a distanza. Qualcuno stava tenendo sotto controllo i movimenti dei soldati. Ha aspettato il momento più opportuno, e ha premuto il tasto di innesco al loro passaggio. Una tecnica tutt’altro che inedita. Utilizzata, per lo più, proprio dai talebani. Già in passato artificieri americani, in Afghanistan e in Iraq, morirono in circostanza analoghe.
41 anni, del 32˚ Genio Guastatori di stanza a Torino, sposato e padre di bambini. Un veterano, un ufficiale navigato e certo del proprio mestiere. Aveva partecipato a 13 missioni all’estero. Era stato in Bosnia, Mozambico e 5 volte in Afghanistan. Aveva scoperto il trucco per resistere, oltre alle fatiche fisiche, a quelle psicologiche. Bisogna stare bene con i propri soldati, spiegava. E pare che fosse il primo a mettere in pratica il suggerimento. «Un amico, un compagno, sempre pronto ad aiutare, sempre disponibile, calmo nelle emergenze»: questo dicevano di Mauro Gigli gli altri soldati. Il quale, a quanti gli facevano notare che appariva più giovane della sua età, rispondeva, scherzando: «E’ il sole dell’Afghanistan».
Il Caporal Maggiore Pierdavide De Cillis, nato nel febbraio del 1977 a Bisceglie, nel barese, faceva parte del 21° reggimento genio di stanza a Caserta, dove aveva conosciuto la moglie Marta, di San Marco Evangelista, a pochi chilometri da Caserta. E, sempre a Caserta, vivevano da alcuni anni assieme alla loro bambina di tre. Marta, da 4 mesi, aspetta un altro bambino.
«Lo Ied può essere di varia natura. Può essere il piatto di pressione, il radiocomando, o il sistema a tempo. Il momento più delicato è sicuramente quando c’è l’approccio manuale da parte dell’operatore, che deve affrontare l’ordigno. Ogni intervento è a sé. Ed ogni intervento, dal momento in cui arriva l’attivazione, fino alla conclusione, è tutto un susseguirsi di tensione e adrenalina». Così, Mauro Gigli, una ventina di giorni fa, raccontava al tg1 in cosa consisteva il suo mestiere.
– «Sarebbe più sicuro utilizzare il robot telecomandato per fare brillare gli ordigni. Ma non sempre è a disposizione, oppure diventa troppo pericoloso utilizzarlo nel cuore dei centri abitati. Ci sarebbero inevitabilmente vittime tra i civili. E allora tocca a noi andare e fare il lavoro di disinnesco con le nostre mani». Gli artificieri non lavorano mai soli. «E’ necessario confrontarsi con il collega, che ha la mia stessa qualifica. Tra di noi si parla. Si cerca sempre di trovare la strategia opportuna per il disinnesco», spiegava, senza, tuttavia, entrare troppo nei dettagli. Troppe informazioni, infatti, avrebbero potuto mettere a repentaglio la vita dei suoi commilitoni. O peggio. «Si deve fare attenzione a divulgare queste notizie» diceva. «Poi magari qualche terrorista le usa per fare danni in Italia». Il militare era conscio del rischio che lui e i suoi stavano correndo. «Abbiamo fatto circa 80 interventi in tre mesi. Vuol dire che la minaccia c’è»,
Dolore unito all’orgoglio. Sono i sentimenti che maggiormente si avvertono tra numerosi utenti web. Come sul gruppo di Facebook “Monumento virtuale ai soldati italiani caduti in missioni all’estero”. Dove la parola che maggiormente riecheggia è “Onore”. «Mi stringo al dolore dei famigliari… onore e gloria», scrive Michele, mentre Matteo è convinto che «torneranno in patria come eroi». Si legge ancora: «Come ogni sera mandiamo i nostri saluti ai ragazzi che ci seguono da Herat… però questa sera lo vogliamo fare in modo caloroso… Non mollate ragazzi», mentre Evideo riflette: «Questo si chiama coraggio e mi dispiace che per dei malati di testa ci rimettano sempre quelli buoni che anno bisogno. Grazie eroi. Sono orgoglioso di essere italiano».
Anche la politica si unisce nel cordoglio. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è detto molto rattristato, aggiungendo che «tutte le volte che succedono queste cose ci si domanda se ne valeva la pena. Dobbiamo rafforzarci nell’idea che ne valga la pena». Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso, invece, in un comunicato, la sua vicinanza alle famiglie dei soldati, esprimendo dolore e commozione, mentre il ministro della Difesa Ignazio La Russa che «I nostri artificieri sono considerati dei maestri» e «azioni terroristiche come questa tendono a colpire le opinioni pubbliche straniere più che i meccanismi in campo». Per questo, ha continuato La Russa, la missione italiana continuerà fino al 2013, di modo che il nostro Genio metta gli artificieri autoctoni in grado di compiere il loro stesso lavoro.
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