La settimana scorsa si è tenuto a Beirut un incontro molto interessante sul tema: L’educazione fra fede e cultura. Esperienze cristiane e musulmane in dialogo, organizzato dalla Fondazione Oasis di Venezia.

Si tratta, in effetti, della riunione annuale del Comitato Scientifico Internazionale della Fondazione, cui hanno partecipato, oltre ai membri del Comitato, una sessantina di invitati esterni provenienti da diversi Paesi dell’Occidente e dell’Oriente. In perfetta consonanza con gli scopi di Oasis diretti all’approfondimento di temi quali: il meticciato di civiltà e culture, le Chiese cristiane orientali e l’interpretazione culturale degli islam. Sì, degli islam, per tener conto della variegata gamma di espressioni, spesso in contrasto tra loro, del mondo musulmano.



Questa era la sesta riunione del Comitato Scientifico della Fondazione nata nel 2004 da un’intuizione del Patriarca di Venezia, Cardinale Angelo Scola, che è anche Gran Cancelliere della Fondazione Studium Generale Marcianum, il polo pedagogico-accademico del Patriarcato di cui anche Oasis fa parte.

È interessante riprendere i temi delle riunioni precedenti, perché sono come l’indice dei capitoli di un libro che Oasis sta progressivamente scrivendo: unità e diversità (Venezia, 2005), diritti fondamentali e democrazie (Cairo, 2006), meticciato di civiltà (Venezia, 2007), libertà religiosa (Amman, 2008), ruolo delle tradizioni nell’odierna società plurale (Venezia, 2009) e, quest’anno a Beirut, appunto educazione, fede e cultura.



Per mantenere costante il dialogo con tutte le realtà, cristiane e islamiche, incontrate durante questi anni, la Fondazione si è dotata di una serie di strumenti che vanno da due collane di libri, pubblicate dalla Marcianum Press, a una newsletter mensile in cinque lingue, al semestrale Oasis. Anche la formula editoriale della rivista è tipica dell’approccio della Fondazione, ed è infatti pubblicata in quattro edizioni: italiano, inglese-arabo, francese-arabo, inglese-urdu.

L’incontro di quest’anno è stato, a mio parere, particolarmente importante proprio perché tenuto in Libano, l’unico Paese dell’area in cui i cristiani, anche se non più maggioranza come un tempo, sono tuttora una componente essenziale della popolazione. Il Libano è anche importante perché rappresenta il luogo di incontro storico di praticamente tutte le confessioni cristiane, mentre la comunità islamica vede la presenza sia di sunniti che di sciiti, oltre che di drusi e alauiti.



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Un laboratorio estremamente concreto, quindi, per tutti i problemi e le opportunità che la convivenza di tante realtà diverse può offrire. Purtroppo, da più di trent’anni la storia del Libano è dolorosamente segnata da ripetuti conflitti tra i libanesi stessi e contro gli stranieri che periodicamente hanno invaso il Paese, palestinesi, israeliani, siriani. Tuttavia, come ricordato da un libanese durante l’incontro, il Libano è come la fenice, che risorge continuamente dalle sue ceneri.

 

Nella situazione descritta appare molto appropriato, perciò, il tema scelto per la discussione a Beirut, o meglio a Jounieh dove si è concretamente tenuto l’incontro: “L’educazione tra fede e cultura. Esperienze cristiane e musulmane in dialogo”. Il Patriarca Scola, nell’aprire i lavori, ha messo subito in luce la posta in gioco citando quanto detto a Cipro dal Papa, che ha paventato per il Medio Oriente un “bagno di sangue ancora più grande” nel caso in cui non si concretizzi rapidamente “uno sforzo internazionale urgente e concertato al fine di risolvere le tensioni che continuano […] specialmente in Terra Santa”.

 

Il Cardinale ha poi insistito sulla necessità di dar vita ad un luogo di comunione, sottolineando che questa parola fondamentale nel cristianesimo non è “un generico motivo ispirativo, ma il principio e il metodo con cui realizzare tutte le attività della Fondazione Oasis”. A chi scrive, questo sembra un evidente superamento della tanto usata, e abusata, formula del dialogo.

 

Infatti, Scola ha poi continuato parlando di testimonianza “non solo come buon esempio, ma più propriamente come metodo e comunicazione della verità”, secondo quanto ci ha insegnato Gesù, il “testimone fedele” davanti a Pilato. Si arriva così all’educazione, che si ricollega direttamente al tema della tradizione oggetto dell’incontro dell’anno precedente, perché l’educazione è innanzitutto trasmissione di un’interpretazione complessiva della realtà, che deve essere proposta alla verifica della libertà dell’educando.

 

Argomento ripreso nella relazione introduttiva del pomeriggio dal Cardinale Jean-Louis Tauran, che ha posto una differenza tra insegnare, cioè trasmettere un sapere, un’arte, una tecnica, ed educare, cioè il far sviluppare tutte le capacità, fisiche, intellettuali e morali della persona. Mi azzardo a dire: da una parte il saper fare, dall’altra il saper essere.

 

 

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Se educare significa trasmissione di valori e saperi, continua il Cardinale, allora il legame con le religioni risulta del tutto naturale, perché anch’esse insegnano, educano, trasmettono: dogmi, libri sacri, liturgia. Riferendosi più precisamente al cristianesimo, Tauran ha ricordato come al centro della vita intellettuale del Medioevo vi fosse la tensione tra libertà, ragione e verità, e come i cristiani abbiano sempre avuto l’ambizione di conciliare la ragione con la fede, citando a tal proposito Sant’Agostino: “Comprendere per credere e credere per comprendere”.

 

Su questi punti è avvenuto il confronto aperto e serrato tra i presenti, cristiani e islamici, mettendo in luce le differenze di interpretazioni ed esperienze tra e in entrambi i “campi”, indicando peraltro una serie di opportunità perché il confronto continui, alla ricerca di quel “luogo di comunione” così essenziale per tutti, ma che in Libano appare in tutta la sua drammaticità.

 

Credo giusto chiudere con la citazione fatta dal Cardinale Scola dal testo di Monsignor Luigi Padovese alla seconda Assemblea ecclesiale del Patriarcato, appena qualche mese fa, intitolata Cristiani in Turchia: il valore della testimonianza: “Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del Paese, non ci sarebbero difficoltà, ma stiamo rendendoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla storia cristiana di questi Paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue.”

 

Monsignor Padovese ha aggiunto la propria testimonianza e il proprio sangue a quelli delle migliaia di martiri che hanno costellato la storia di quelle terre ora sotto dominio musulmano.

 

(Dario Chiesa)