L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola

Dove non sono arrivati i bersaglieri della breccia di Porta Pia ci arriveranno avvocati e giudici a stelle e strisce; a mettere fine al potere temporale della Chiesa non saranno i cosacchi che abbeverano i loro cavalli alle fontane di Piazza San Pietro, ma gli ufficiali giudiziari che sventolano ingiunzioni di pagamento sotto le finestre del Papa. A rendere non del tutto remoto questo fosco scenario è la decisione con cui settimana scorsa la Corte suprema americana ha deciso di non prendere in esame un ricorso della Santa Sede, chiamata in causa in un processo per abusi sessuali a Portland nell’Oregon.



L’appello chiedeva che fosse riconosciuta l’immunità giudiziaria della Santa Sede di fronte alle Corti Usa in quanto stato sovrano, in base a un principio di diritto internazionale recepito anche dalla legge americana. Non riconoscendo merito legale al ricorso la Corte suprema ha rimandato di fatto il caso alla Corte d’appello di Portland, dove l’avvocato Jeffrey Lena dovrà ora dimostrare che un ex sacerdote già condannato per abusi sessuali e defunto nel 1992 non aveva un rapporto di dipendenza diretta col Vaticano, dunque le vittime non possono esigere indennizzi da Roma.



Se non ci riuscirà, le schiere di avvocati americani capitanati dal procuratore Jeff Anderson che negli ultimi quindici anni hanno spolpato le diocesi statunitensi per una cifra che si avvicina a un miliardo di euro rivolgeranno le loro attenzioni alla Santa Sede. E magari troveranno imitatori nel vecchio continente, dove finora in nessun caso di processo per pedofilia nel clero è mai stato giudicato colpevole il Vaticano. Così potrebbe realizzarsi un vecchio sogno dei protestanti anglosassoni intransigenti che oggi li accomuna ad atei e agnostici militanti: infliggere un colpo mortale al potere temporale della Chiesa, mandandolo in bancarotta.



L’ostilità americana alla Chiesa di Roma non è certo confinata ai Padri pellegrini reduci dalle guerre di religione europee. Dai nativisti del XIX secolo contrari all’immigrazione dai paesi fedeli a Roma alle croci del Ku Klux Klan bruciate di fronte alle chiese cattoliche, dalle leggi dell’Oregon nel 1922 per mettere fuorilegge le scuole parrocchiali alle campagne contro John Kennedy accusato di subalternità agli ordini del Papa alla vigilia delle presidenziali del 1960, l’anticattolicesimo si ripropone come una caratteristica durevole del paesaggio politico-religioso degli Stati Uniti.

Il più recente attacco di origine americana al potere temporale della Chiesa romana, però, è arrivato da un’organizzazione sedicente cattolica: trattasi della campagna contro la Santa Sede per privarla dello status di membro osservatore delle Nazioni Unite promossa nel 2000 dagli abortisti Catholics for a Free Choice di Frances Kissling, femminista direttrice di cliniche per aborti. Non a caso fra le 400 organizzazioni che hanno aderito alla campagna spiccano la Planned Parenthood Federation of America e la National Abortion and Reproductive Rights Action League (Naral), numi tutelari della promozione e diffusione dell’aborto come strumento di controllo delle nascite.

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Ma è interessante notare che alla battaglia contro la natura statuale della presenza del Vaticano all’Onu, miseramente fallita nel 2004 (allorché lo status della Santa Sede fu confermato e rafforzato), si unirono anche organizzazioni con interessi non limitati al conflitto con le dottrine cattoliche sull’aborto e altri aspetti attinenti la sessualità. Fra esse D66, un partito democratico radicale olandese che attualmente ha dieci deputati alla Camera bassa e due europarlamentari, l’Associazione Madri Plaza de Mayo, la Cgil italiana (attraverso il suo Ufficio nuovi diritti) e l’Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori.

 

Secondo i firmatari la Santa Sede «non è uno stato, è il governo della Chiesa cattolica. La Santa Sede chiaramente non soddisfa i criteri legali internazionali stabiliti per la statualità, che includono un territorio definito e una cittadinanza permanente. La Santa Sede non ha un territorio definito, è un governo e non un’entità territoriale». Un punto di vista totalmente snobbato da quasi tutti i governi dei paesi membri dell’Onu, decine dei quali hanno un ambasciatore accreditato presso la Santa Sede e ospitano in patria nunziature o delegazioni pontificie.

 

Un blitz nel Regno Unito?

 

Eppure recentemente l’idea è stata ripresa da due pesi massimi della pubblicistica antireligiosa britannica: Richard Dawkins e Christopher Hitchens. I quali hanno incaricato due avvocati di presentare una richiesta di arresto di papa Benedetto XVI quando si presenterà nel Regno Unito nel prossimo mese di settembre niente meno che per «crimini contro l’umanità» per pretese complicità in casi di pedofilia di membri del clero cattolico.

 

Secondo il Times «Dawkins e Hitchens sono convinti che il Papa non possa invocare l’immunità diplomatica contro l’arresto perché, anche se il suo passaggio è considerato una visita di Stato, egli non è il capo di uno Stato riconosciuto dalle Nazioni Unite». È quello che insistono a ripetere i due avvocati londinesi incaricati del caso, Geoffrey Robertson e Mark Stephens. «È altamente probabile che l’azione legale contro il Papa abbia luogo», ha detto il secondo. «Geoffrey e io siamo giunti alla conclusione che il Vaticano non è veramente uno Stato secondo la legge internazionale. Non è riconosciuto dall’Onu, non ha confini sorvegliati e le sue relazioni internazionali non sono di natura pienamente diplomatica».

 

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Chi pensasse che la messa in discussione del potere temporale della Chiesa sia solo un escamotage per rendere più minacciosa l’azione legale e provocare l’annullamento della programmata visita, sbaglierebbe. Sul sito internet della pomposamente denominata Fondazione Richard Dawkins per la ragione e la scienza, il tema costituisce una vera e propria ossessione, con i fan che delineano la “soluzione finale” per la Chiesa cattolica: «Abbastanza fedeli la abbandoneranno e saranno talmente dissanguati di denaro e proprietà per pagare gli indennizzi giudiziari che la Chiesa cesserà di avere potere secolare».

 

La finanza internazionale e Zanotelli

 

Perfino il serioso Financial Times concede a Philip Stephens, commentatore che normalmente si occupa di politica ed economia, di dedicare un intervento della sua rubrica alla crisi nella Chiesa cattolica; nell’articolo Benedetto XVI è descritto come uno che «non si cura» della crisi, o «almeno non se ne cura abbastanza da deflettere dalla sua irriducibile difesa del potere temporale che ha caratterizzato la sua personale ascesa al trono di san Pietro». Non è la prima volta che Stephens scioglie le briglie al suo antipapismo sulle pagine del Financial Times, dove più volte ha condannato i “dogmi cattolici” in materia di celibato sacerdotale e contraccezione.

 

La crociata ateo-agnostico-abortista contro la natura statuale della Santa Sede trova molti collaborazionisti in casa cattolica. La campagna per il declassamento dello status della Santa Sede presso l’Onu, snobbata da tutte le grandi denominazioni protestanti e ortodosse, incontrò a suo tempo la convinta adesione di molti capitoli nazionali del movimento di cattolici dissidenti Noi siamo Chiesa. Segnatamente quelli di Francia, Olanda, Inghilterra e Galles, Germania e Venezuela. L’appello di Noi siamo Chiesa del 1996 non contiene richieste precise, anche se evoca una «Chiesa umile, povera e pellegrina».

 

Tuttavia i simpatizzanti del movimento di tanto in tanto intervengono sull’argomento. Nel mese di giugno che è alle nostre spalle in Italia si sono pronunciati per finire il lavoro dei bersaglieri a Porta Pia due preti cattolici piuttosto noti: il comboniano Alessandro Zanotelli e il torinese don Luigi Ciotti. «È ora che il Vaticano venga ripensato», ha detto il primo. «Come si fa a pensare al Papa come capo di Stato? Immaginiamoci Gesù Cristo come capo di Stato. Impossibile, ha rifiutato tutto! Nel secolo scorso, l’unico modo di dare indipendenza al papato era creargli intorno il concetto di Stato. Oggi invece l’Onu è riconosciuta da tutto il mondo e non è uno Stato. Se il Papa non fosse più un capo di Stato sarebbe libero di girare e incontrare chi vuole! Oppure di rifiutarsi, per esempio nel caso di dittatori sanguinari. Per il Vaticano bisogna uscire da questo concetto di stato».

 

Gli ha fatto eco don Ciotti: «Da anni diciamo che c’è quest’anomalia: un apparato, uno Stato con tanto di ambasciatori che a volte diventa freno e impedisce quella libertà, quella capacità di profezia. Certo questo è uno dei nodi». Insomma, finalmente una causa che mette d’accordo tutto il mondo. Dal governo di Pechino ai preti di frontiera, dai terroristi di al Qaeda alla massoneria.