Vale la pena morire per l’Afghanistan? La domanda rimbalza a ogni soldato ferito od ucciso in Afghanistan. Eppure domenica nessuno  se l’è posta. C’erano dieci cadaveri domenica in Afghanistan. Otto  erano di cristiani trucidati soltanto per aver avuto il coraggio e la forza di addentrarsi nel paese, per   regalare speranze e cure a una popolazione sballottata tra la guerra dei fondamentalisti islamici  e quella, spesso altrettanto cruenta,  dell’alleato occidentale. Ma quei  sei cadaveri americani accompagnati da uno inglese, uno tedesco e quelli  di due guide afghane stavolta sembravano non far testo.



Qualcuno ha addirittura finto di credere alla rivendicazione talebana, alla menzogna con cui un gruppo di  rapinatori assassini spacciatisi per talebani si ripuliva la coscienza accusando la squadra dell’”International Afghan Mission”, un’organizzazione cristiana  presente in Afghanistan sin dal 1966, di aver tentato di convertire gli adepti locali regalando e distribuendo  bibbie tradotte  in pashtun e farsi. 



L’accusa manco sta in piedi perchè gli otto non sono stati sorpresi a vendere o barattare. Le otto vittime sono cadute in un inganno plateale, in un’imboscata pensata e organizzata mentre erano già sulla strada del ritorno attraverso le montagne del  Badakhshan e del Nuristan,  due delle provincie più insidiose del paese. 

Per uccidere quegli otto innocenti, molti dei quali frequentavano l’Afghanistan da oltre vent’anni e garantivano assistenza medica a  centinaia  di persone, gli assassini non sono andati  per il sottile, una sventagliata di kalashnikov  li ha  inchiodati ai sedili del pullmino che li riportava  verso il  Pakistan dopo un mese trascorso a fornir assistenza alle popolazioni più dimenticate dagli aiuti internazionali.



 

Non portavano armi quegli otto medici. E tantomeno avevano vangeli e bibbie da distribuire ai musulmani d’Afghanistan. Non si sognavano di convertire un popolo. Volevano solo aiutarlo, curarlo  e poi andarsene. Chi li ha uccisi probabilmente non voleva neppure compiere un atto esemplare. Era solo un gruppo di scellerati rapinatori ritrovatisi dopo il bottino in dollari e telefoni satellitari a far i conti con  l’imbarazzante  peso di quelle otto persone uccise senza ragione.

Ma la ragione nell’Afghanistan dei talebani non conta. Conta solo l’ideologia. Quella che permette di massacrare otto medici arrivati per aiutare il tuo popolo e accusarli invece di spionaggio e collaborazione con il nemico. Quella che permette di  trasformare  una strage efferata  in un atto di simbolica difesa  e di non fornire altre spiegazioni. 

Quella menzogna efferata  basta da sola a far comprendere la necessità  di restare in Afghanistan. Un ritiro, un addio delle forze della Nato la trasformerebbe nuovamente nell’unica  legge  del paese. La stessa sperimentata in quell’appendice di Medioevo che fu tra il 1997 e il 2001 l’era talebana.

La stessa che tornerebbe a governare il paese se un  Occidente – più debole e spaventato dei propri operatori umanitari –  decidesse di riportare a casa i propri soldati e   restituire il paese  al dominio di Bin Laden e del Mullah Omar.