Quel che più colpisce, del Caucaso è come, su una superficie tutto sommato modesta, si siano stratificate tante differenze, così da rendere la regione montuosa che separa e mette in comunicazione la Russia Europea con l’Asia Occidentale, una dei più affascinanti e complicati mosaici culturali contemporanei.
La natura multiculturale del Caucaso non è uno scontato omaggio alle mode del politicamente corretto contemporaneo; non è neppure un’acquisizione recente, frutto dell’effimero flusso mediatico o delle quotidiane ondate migratorie che si dipanano sotto i nostri occhi (incredibilmente rapide, mimetiche e agevoli, pur con il loro durissimo carico di morte e sofferenza, se paragonate a quelle del passato).
La multiculturalità caucasica è conseguenza della “lunga durata” della storia, di migrazioni che erano spostamenti di intere popolazioni, con figli, bestiame e masserizie al seguito; di trasferimenti che, agli occhi delle popolazioni che ne subivano l’impatto, si configuravano come invasioni, come veri e propri movimenti tettonici della crosta demografica di una regione peraltro usa a grandi scosse telluriche.
Persiani e greci, macedoni e romani, bizantini e parti, e poi arabi, turchi, ancora persiani e mongoli e tartari, e infine russi e sovietici, e di nuovo russi, hanno provocato del corso di oltre due millenni tali e tante spinte e controspinte, da rendere ogni singolo palmo di terra, una terra sacra e àvita per troppi popoli contemporaneamente, perché questo non costituisse un precedente per troppe offese e spoliazioni da lavare, rigorosamente, col sangue.
Un numero incredibile di popoli, dall’entità numerica talvolta esigua, che si sono stratificati su un medesimo mesoterritorio, con sfrangiamenti e sovrapposizioni che rimontano spesso a tempi di cui a fatica serbiamo memoria effettiva. Georgiani ed Azeri, Armeni e Abkhazi, Osseti e Ceceni, Ingusci e Tartari, Russi, Cinesi, Ebrei, Greci, Curdi, Kabari, Lesghi, Assiri, Persiani, Calmucchi e Circassi e una quantità incredibile di alfabeti: latino cirillico, armeno, georgiano, arabo…
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Il conflitto, nel Caucaso più che altrove, è una forma assunta dalla relazione tra i popoli. È parte integrante di una storia che ritorna continuamente e che senza sosta si alimenta. E chiunque voglia accostarsi alle sue ragioni non può che farlo accantonando l’inconcludente ricerca delle responsabilità.
Questa strategia è una delle ragioni del successo di “Rondine. Cittadella della Pace”, l’associazione fondata ormai diversi lustri fa da Franco Vaccari, nel contado di Arezzo. La sua intuizione, semplice ed efficace, è stata quella di provare a realizzare un percorso di pace a partire dall’esperienza quotidiana, per convertire i cuori e le menti. Educare concretamente alla convivenza coloro che si pensano nemici senza magari saperne nemmeno fino in fondo le ragioni.
Di lì l’idea di dar vita a uno studentato internazionale, in cui ospitare coppie di giovani provenienti da Paesi in conflitto: Utu e Tutsi, Israeliani e Libanesi, Georgiani e Abkazi, Armeni e Aseri, Russi e Ceceni, Serbi e Bosniaci, e avanti per le sconfinate teorie dei conflitti contemporanei.
Quando nell’estate del 2008 è divampata l’ennesima guerra che ha contrapposto i Georgiani agli Osseti e agli Abkazi, con l’attivo coinvolgimento russo, proprio dai ragazzi caucasici ospiti dello studentato ha preso corpo il progetto di riunire intorno a un tavolo inviati di tutte le popolazioni dell’area, per una “Conferenza Internazionale dei Popoli del Caucaso” (tenutasi effettivamente nel maggio 2009 al santuario della Verna).
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Lo scopo, pienamente riuscito, era quello di stilare un documento “pre-politico”, condivisibile e condiviso da tutti i partecipanti, che potesse costituire la base da cui avviare una strategia di diplomazia popolare. Così, grazie al lavoro infaticabile di 150 partecipanti, è nato il documento “I 14 punti di Rondine per la pace nel Caucaso”, vera e propria architrave dell’iniziativa “ventidipacesucaucaso” di cui Rondine si è fatta promotrice.
Negli oltre dodici mesi successivi, il documento è stato presentato alle autorità politiche e religiose regionali, nazionali e internazionali, ottenendo il plauso e l’incoraggiamento non solo della Farnesina e dei Parlamenti italiano ed europeo, ma anche della CEI e del Santo Padre.
Proprio in queste settimane, una delegazione dei ragazzi, guidati da Franco Vaccari e dalla direttrice dello studentato Lella della Scala, sta portando questo documento attraverso il Caucaso meridionale, oltrepassando confini spesso difficili quando non del tutto chiusi, e conseguendo lo straordinario obiettivo diplomatico di raccogliere l’appoggio e il consenso di tutte le parti del conflitto, conquistate dall’esempio concreto dei ragazzi, dalla volontà e dall’entusiasmo di tutti i partecipanti e dalla coerenza di Vaccari, nell’aver saputo fare della sua associazione tutto meno che uno strumento di partigianeria politica o di polemica a fini interni, come troppo sovente succede nel mondo dell’attivismo per la pace.
Le riflessioni che seguono sono nate proprio dalla fortunata possibilità, dal privilegio direi, di poter condividere con i ragazzi la prima parte di questo viaggio e sono dedicate a loro e ai loro colleghi più anziani, ex studenti di Rondine, che da tutte le regioni del Caucaso hanno reso possibile questa iniziativa, innanzitutto dimostrando che nulla è davvero impossibile per chi ha un cuore forte.
(1 – continua)