Alla fine del mese di ottobre prossimo, la città del Cairo avrà l’opportunità di vivere il Meeting di Rimini, su iniziativa di un’élite di intellettuali e giudici egiziani che stanno lavorando come volontari alla preparazione di questo evento.
Secondo le previsioni, il Meeting occuperà la scena dei più importanti luoghi storici e culturali dell’Egitto: la memorabile sala dell’Università del Cairo (scelta dal Presidente Obama per tenere il suo discorso al mondo islamico), l’Opera House Egiziana e la cittadella di Saladino. Forse, la cosa che più caratterizza questi luoghi è il loro rappresentare, oggi come nel passato, uno spazio di bellezza per l’incontro e il dialogo con l’altro. Storicamente, infatti, simboleggiano le porte attraverso le quali sono passati, nei due secoli scorsi, i venti del cambiamento e della modernità, giunti poi all’intero mondo islamico.
La difficoltà più grande incontrata da questa iniziativa è stata la totale ignoranza delle persone riguardo al Meeting di Rimini. Non è stata una sorpresa per noi, visto che i mezzi di informazione, solitamente, ignorano questo tipo di eventi culturali per concentrarsi su altre cose, ad esempio il matrimonio di coppie gay o gli scandali sessuali dei politici, finendo così per veicolare il messaggio indiretto che il liberalismo e la democrazia non sono altro che decadenza morale.
Inoltre il Cairo, da capitale culturale del mondo arabo e islamico qual è, ospita quotidianamente più di un evento internazionale dedicato all’incontro e al dialogo con “l’altro europeo”. Come possiamo dunque proporre il Meeting di Rimini alla realtà egiziana e quale novità può apportare?
Nella nostra realtà, il dialogo è fondato sulla demonizzazione della differenza e da lì prende le mosse, cosa che rende il discorso arabo moderato, interlocutore del mondo occidentale, un discorso teso a giustificare la nostra differenza rispetto all’Occidente, come se si trattasse di un peccato che abbiamo commesso. O cosa che porta tale discorso a ignorare la differenza dell’Occidente rispetto a noi e a fingere di non vederla, come se non esistesse.
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Dal canto suo, il più diffuso e influente discorso estremista, con il suo dividere il mondo in due, nella casa dell’Islam e nella casa della miscredenza, si basa anch’esso sulla differenza, utilizzandola per giustificare il proprio appello allo scontro con l’Occidente e al tentativo di distruggerlo.
Per quanto mi riguarda, grazie a un’amicizia di lunghi anni, ho imparato molte cose dal Meeting di Rimini. La più importante, forse, è che la base del dialogo è la differenza. Il dialogo, infatti, dovrebbe essere basato su un incontro, poiché è nell’incontro che la persona fa posto, nella sua vita, a un’altra persona e comincia a scoprirla.
In questo senso, la differenza è la base della conoscenza e il dialogo è uno degli strumenti per conseguirla, perché l’eliminazione della differenza per dialogare con l’altro, non è meno aberrante dell’eliminazione dell’altro a causa della differenza.
Nella nostra realtà, l’appartenenza a una comunità spirituale, politica o culturale, implica la rinuncia alla propria differenza per integrarsi in quella comunità. Nel Meeting di Rimini, invece, ho visto una comunità che spinge ogni individuo a contraddistinguersi, a scoprire la propria esperienza di vita e il proprio percorso personale, perché l’individuo non etichetta se stesso con l’appartenenza alla comunità, ma piuttosto riscopre se stesso nel farne parte.
La consapevolezza che ogni persona ha della propria differenza, rafforza la sua certezza di possedere qualcosa da dare. Nessun essere umano è povero, ognuno può dare agli altri, perché ogni essere umano è speciale. Ci aiuterà il Meeting di Rimini a scoprire ciò che possediamo di speciale? Ci aiuterà a scoprire che cosa possiamo dare agli altri?
(Traduzione dall’arabo di Elisa Ferrero)