E importante notare che il Presidente della Repubblica dell’Irlanda non è un politico: questa posizione non ha quasi nessun potere operativo, ma solo alcune ristrette, benché importanti funzioni costituzionali. A voler essere sinceri, il ruolo è stato creato come un buen retiro per statisti vicini al pensionamento, da ricoprire tranquillamente per qualche anno per poi ritirarsi dalla vita pubblica. Un ruolo simbolico, una leadership senza potere, che comporta tuttavia lo status e il rispetto dovuti a un Capo dello Stato. Forse il suo creatore, Eamon de Valera, ha immaginato un ironico parallelo repubblicano con la monarchia del vicino Stato, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.



Questo fino a vent’anni fa, quando il Partito Laburista decise di combattere le elezioni presidenziali del 1990 sulla base di un cambiamento del significato culturale della presidenza, scegliendo come candidato una donna, avvocato ed esponente del femminismo radicale. Si tratta di Mary Robinson che nel novembre 1990 venne eletta, primo presidente donna, tra la costernazione dei partiti conservatori. Nel frattempo le cose sono un po’ cambiate, ma a quell’epoca la Robinson fu considerata la rappresentante di una nuova Irlanda, più moderna e aperta all’esterno, benché avesse vinto le elezioni proprio minimizzando le sue credenziali radicali.



Sette anni dopo, alle nuove elezioni presidenziali, il partito maggiore, il Fianna Fail, dimostrando di aver compreso la lezione delle precedenti elezioni, candidò inaspettatamente una donna fino ad allora non direttamente coinvolta né con il partito, né con la politica. Interessante rilevare i punti di contatto con Mary Robinson: donna, avvocato, femminista, ma con in più altri elementi di maggiore interesse.

Mary McAleese, apparentemente simile a Mary Robinson, è in realtà completamente diversa. Proveniente da una famiglia nazionalista di Belfast, è cresciuta all’ombra di una guerra durata dalla sua adolescenza fino al primo anno della sua presidenza. A differenza della Robinson, che aveva aderito alla scuola “revisionista” della politica irlandese (i revisionisti cercavano di riscrivere la storia per controbattere le rimostranze dei nazionalisti, in buona parte a causa del senso di colpa e impotenza per la sanguinosa campagna dell’IRA), McAleese è una nazionalista con l’enne maiuscola e una decisa portavoce del suo popolo.



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Come giornalista a Dublino negli anni ‘70 e ’80, aveva attirato anche sospetti in una cultura mediatica tesa a eliminare il senso di colpa e di confusione sul continuo conflitto al di là del confine, attraverso il disconoscimento dei nazionalisti e lo smantellamento dello storico atteggiamento di lamentela ancora proprio della maggioranza degli abitanti dell’isola. Durante la sua esperienza nella rete nazionale, la RTE, ha dovuto subire le stesse difficoltà della sua infanzia nella nativa Ardoyne, uno dei ghetti cattolici di Belfast. Osteggiata e isolata dai suoi compagni di lavoro (da allora alcuni si sono ricreduti scusati con lei), quando più tardi è diventata portavoce dei vescovi cattolici è stata oggetto di velenosi attacchi sfociati in minacce alla sua vita da parte degli estremisti unionisti.

 

Grazie alla sua personalità, McAleese si è imposta come una voce sensata e coraggiosa, senza timore di parlare apertamente delle proprie origini, della propria fede e della sua concezione di un’Irlanda non più governata da preconcetti ideologici. Studiosa di filosofia, storia e politica, i suoi interventi pubblici sono caratterizzati da uno stile colloquiale che consente di affrontare anche argomenti complessi rigorosamente, ma senza dare la sensazione di intellettualismo.

 

Un’altra caratteristica della McAleese è di essere una cattolica che prende sul serio la propria fede e non vede nessuna ragione per tenerla fuori o a lato del suo essere personaggio pubblico. Il suo lavoro con i vescovi cattolici, centrato soprattutto sul continuo conflitto che ha rovinato la sua terra natia, le è valsa l’accusa di “conservatrice e tradizionalista” da parte degli oppositori, spesso peraltro a corto di argomenti nei suoi confronti.

 

Inoltre, è originaria del “Nord” o , se si preferisce, della “Irlanda del Nord” parte del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, luogo di un conflitto residuo di una lotta di 800 anni contro l’invasore, anche se ormai non si tratta più di invasori, ma di radicate differenze tra abitanti da lungo tempo di quella tragica regione. Pur rappresentando una chiara voce della minoranza cattolica nazionalista, la MacAleese non è mai intervenuta in modo aggressivo o, invece, sulla difensiva, e il fatto di non essere amata dalla maggioranza protestante unionista non lìha mai portata a comportamenti faziosi come quelli di molti della sua parte.

 

Per tutte queste ragioni è stata molto apprezzata dagli abitanti della Repubblica che non se la sentivano di appoggiare l’estremismo dei Provisional dell’IRA, ma neppure di abbandonare i loro compatrioti del “Nord”. La candidatura della McAleese ha offerto, quindi, l’opportunità di affermare il tipo di Irlanda che si voleva, desiderio complesso e non esprimibile altrimenti.

 

La McAleese sembrava ricomprendere tutti i benefici dell’educazione e del pensiero moderni in una personalità che rimaneva fedele all’autentica identità del Paese e che, pur ritenendo necessario un cambiamento nella società irlandese, partiva da una posizione rispettosa di ciò che già c’era, non un’attivista femminista importata da fuori e desiderosa di sradicare tutto.

 

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Mary McAleese, molto vicina alla scadenza del suo secondo mandato settennale, verrà quest’anno al Meeting di Rimini. Molto è cambiato nel frattempo. Il conflitto in Irlanda sembra aver trovato una soluzione che, in linea di massima, pare resistere bene. L’Irlanda è diventata in breve tempo ricca ed è ora, diciamo, non più proprio così ricca. Il nostro Paese è cambiato moltissimo e non del tutto in meglio. La presidenza di Mary McAleese è stata una delle poche cose rimaste costanti.

 

Il ruolo della presidenza è cambiato durante il suo mandato. Mary McAleese è stata “al di sopra della politica”, ma in un modo quasi trascendente, offrendo l’efficace simbolo di un’Irlanda che cerca di essere moderna secondo proprie modalità e non secondo quelle importate dall’esterno come un mantello per coprire la vergogna postcoloniale. In una società che continua a soffrire di un desiderio inconscio di imitare società più “sofisticate”, ha proposto un modello di modernità rispettosa della tradizione e un illuminismo con la “i” minuscola.

 

Mary McAleese comunica qualcosa dell’Irlanda di come era prima che cominciasse a cambiare così rapidamente, ed è molto amata perché appare come “una donna normale”, che può parlare sia a re e imam che a pensionati e casalinghe, ai protestanti e ai cattolici che vengono in visita all’Aras an Uachtarain, la Casa del Presidente. Forse perché non è mai stata un vero politico, non ha imparato quelle affettazioni che paiono contraddistinguere gli atteggiamenti dei politici, ma riesce a entrare in contatto con la gente in modo naturale e spontaneo.

 

Come presidente ha improntato la sua immagine sulla base del buon senso e il suo tema preferito della “costruzione di ponti”è basato sull’idea di incontro con altre posizioni senza annacquare la propria identità o le proprie convinzioni, ma coltivando il rispetto reciproco per opinioni sostenute sinceramente. Il suo ruolo nel processo di riconciliazione è stato molto importante, soprattutto nel ricostituire le relazioni tra le persone che, in Irlanda, rappresenta un punto essenziale per il superamento delle differenze ideologiche. Ora è molto apprezzata anche dai protestanti e dagli unionisti.

 

Noi irlandesi siamo orgogliosi del nostro presidente, in un periodo il cui il nostro orgoglio è stato frustrato in molte altre cose. Lei è dei “nostri” come pochi altri politici lo sono. In una società traumatizzata dalle difficoltà economiche e dagli scandali sugli abusi da parte di religiosi e sulle loro coperture, la sua è stata costantemente una voce di richiamo alla ragione e alla comprensione. 

 

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Negli anni del boom economico, pressappoco dall’inizio della sua presidenza nel 1997 fino alla metà del suo secondo mandato nel 2007, ha messo in guardia verso le illusioni del materialismo. Scoppiata la bolla, ha attirato l’attenzione sulla possibilità che la prosperità non fosse la risposta a tutti i nostri problemi: forse, ha suggerito, dovremmo renderci conto che la ricerca di una gratificazione immediata ha avuto un costo molto pesante, di cui non siamo ancora completamente consapevoli. Stiamo forse per entrare in una prospettiva più equilibrata e più soddisfacente?

 

Mary McAleese ha così offerto una chiara alternativa alle dichiarazioni provenienti dal governo. centrate sull’economia e sull’attenzione ai mercati. Mentre il Taoiseach (primo ministro) e i suoi ministri si concentravano sui tentativi di risolvere le difficoltà economiche e di conservare la fiducia del mondo esterno nella “Azienda Irlanda”, il presidente si è rivolto a noi non come operatori economici, ma come cittadini di una nazione e pellegrini in un misterioso viaggio nel tempo e nello spazio.

 

In questo senso, con la sua personalità ha quasi tacitamente diffuso l’idea di cosa significa essere cristiani in un contesto politico, confermando l’insistenza di Don Giussani, e prima di lui di Papa Paolo VI, sulla politica come “la più alta forma di carità”.

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