Il 12 agosto ad Haiti abbiamo ricordato i nostri primi sette mesi dal terremoto. Sette mesi di fatiche, di molta sofferenza intorno a noi, sette mesi dalla scomparsa di tante persone a cui volevamo bene, di tanti amici e colleghi che stimavamo, di tutti i simboli che facevano il piccolo orgoglio di questo difficile Paese. Sono stati mesi di duro e intenso lavoro per tutti, in condizioni di estremo disagio (comunque nulla a confronto delle privazioni di quelle 800.000 persone che ancora vivono nei campi), mesi di fatiche fisiche e mentali, di discussioni a volte esacerbate dalla stanchezza, di tensioni per conciliare la nostra piccolezza e l’enormità della tragedia.



Quella mattina del 12 agosto, a sette mesi dalla tragedia epocale che è stata il terremoto di Haiti, con alcuni colleghi ci chiedevamo: ma il mondo si starà ancora ricordando di noi?

Qualche giorno dopo mi imbarco verso l’Italia, verso una settimana di ferie e una settimana di testimonianze al Meeting di Rimini e intorno ad esso. Mentre aspetto all’aeroporto mi pongo di nuovo la stessa domanda: ma il mondo si ricorda ancora della tragedia che ci ha sconvolto per sempre la vita? Il mondo pensa ancora ad Haiti?



Poi sbarco in Italia e sono come sempre sopraffatta dalla sensazione di irrealtà: i muri tutti interi, i pavimenti lucidi, le strade perfettamente asfaltate, i semafori funzionanti, le piazze senza terremotati… Ci vuole un po’ a rifarci l’occhio alla normalità.

Così dopo pochi giorni di vacanza, saggiamente concessi a scopo di decompressione, arrivo al Meeting, a Rimini.

C’e’ sempre la stessa atmosfera che ricordavo, quel clima da grandi eventi ma con un non-so-che di famigliare, di confidenziale. Giusto il tempo di accorgermene prima di essere presa dal vortice delle domande e delle richieste. In molti vogliono sapere come va, a che punto siamo, se le operazioni di ricostruzione avanzano, se c’e’ un po’ più di organizzazione. I discorsi cominciano ad accavallarsi e a rincorrersi, cerco di spiegare le difficoltà dell’enormità della tragedia, cosa sta facendo AVSI, gli aiuti portati, i beneficiari raggiunti, l’acqua distribuita, gli ambulatori avviati, le scuole in tenda funzionanti…



 

E’ difficile sbarcare da Haiti quaggiù nel mondo senza crepe della vita occidentale e riuscire a costruire un discorso, con una logica ferrea e con puntigliose spiegazioni che la gente si attende. Mi agito un po’, non mi sento all’altezza, continuo ad avere l’impressione di non riuscire a far capire la cosa più importante: che gli haitiani hanno ritrovato la speranza, la fiducia, che quel desiderio di cose grandi che è la speranza nel domani, ha ripreso forza, è tornato a vivere. Mi è sembrato di non trovare le parole per dire la lunga strada fatta di piccoli passi che ci ha portato dalla tragedia alla finestra sul futuro.

 

Poi, in una pausa tra un importantissimo meeting e una intervista in televisione, mi si avvicina una signora e mi dice: “Sa, lei non può ricordarsi di noi, chissà quante lettere ha ricevuto… Però volevo dirle che la mia scolaresca ha letto i suoi diari e che i bambini hanno voluto raccogliere dei fondi con i loro lavoretti e ve li abbiamo inviati. Non credavamo che avremmo avuto una risposta, invece, sa, è stato bellissimo quando ci è arrivata la mail di AVSI che spiegava ai bambini che con i loro soldini sono stati comprati i banchi per la scuola elementare, e che i bambini del Campo hanno potuto fare gli esami di fine anno, e non hanno perso l’anno scolastico, e che sono pure stati promossi! Sa i miei alunni hanno detto: che bello, hanno ricominciato la scuola grazie ai nostri banchi! E così… A settembre facciamo una nuova raccolta fondi!”

 

Non so nemmeno bene cosa ho risposto alla signora. Credo di aver detto solo un “grazie” prima che mi trascinassero verso i miei irrinunciabili incontri.

 

Cara signora di cui non so il nome: grazie a voi, ai vostri bambini. Il loro cuore semplice ha capito la verità più grande: i nostri piccoli amici haitiani sono tornati a scuola ed ora credono di nuovo nel proprio futuro, credono in un domani che costruirà la loro bella ed orgogliosa Nazione più forte e più bella di prima. Questa “finestra” di speranza che avete saputo aprire non si chiuderà, perchè i nostri piccoli studenti della scuola-tenda sanno ora di poter contare su di voi… Anche per il prossimo anno!

 

Così la domanda dei miei colleghi ha trovato una risposta: no, la gente non ci ha dimenticato, la gente – tanta gente – si ricorda di Haiti e di questo tragico 2010. L’anno della nostra catastrofe, ma anche l’anno in cui abbiamo imparato che il cuore non smette mai di desiderare, e che dal desiderio nasce la speranza, la forza per ricostruire.

Leggi anche

IN MOSTRA/ Così don Bosco rispose all'emergenza educativa del suo tempoLA STORIA/ Gabriele, quando basta il cuore e il Meeting fa più della psicoterapiaMEETING/ Il comunicato finale e il prossimo titolo "E l’esistenza diventa una immensa certezza”