Ieri il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso, ha parlato al Meeting di Rimini sul tema «L’Europa delle regioni». in questa intervista al sussidiario ha accennato a temi chiave dell’agenda politica come i problemi economici delle regioni, i movimenti indipendentisti, l’allargamento dell’Unione. «L’Ue si ispira al principio di sussidiarietà e non può decidere per gli stati. I criteri per allargare? Sì, ci sono anche quelli culturali. Nel rispetto del pluralismo».
Nonostante i buoni segnali di ripresa, viviamo ancora con lo spettro della crisi economica. Anche su questo si è espresso il presidente della Commissione, e il suo messaggio è incoraggiante. L’Italia «per alcuni aspetti – ha detto Barroso – è messa meglio di altri Paesi: ha un sistema bancario solido, non ha problemi di debito privato, un livello di concorrenza forte in diversi settori, un livello di disoccupazione stabile». Non deve però abbassare la guardia: permangono per il nostro paese «grosse difficoltà sul debito pubblico e sul deficit di bilancio, e credo che su questo ci sarà molto da lavorare per ripristinare la fiducia».
Molte amministrazioni locali per colpa della crisi stanno avendo difficoltà a chiudere i propri bilanci. C’è un piano europeo per sostenere le regioni maggiormente in difficoltà, o sono i soli Stati a doversi occupare di tali problemi?
No, se ne deve occupare anche l’Europa. L’Europa ha una politica regionale molto forte. L’abbiamo sviluppata per tanti anni; l’Italia ad esempio ne ha beneficiato molto, alcune regioni italiane soprattutto. Questa politica vogliamo mantenerla, perché crediamo in un principio molto importante, che è racchiuso anche nel Trattato di Lisbona, ossia il principio della coesione sociale, economica e territoriale. Per lo sviluppo delle regioni c’è bisogno sia degli sforzi a livello nazionale, ma anche di quelli a livello europeo, specialmente per quelle più vulnerabili. Così, quando presenterò il nostro prossimo progetto finanziario, e quando in settembre presenteremo la nostra revisione di bilancio, certamente ci orienteremo verso maggiori ambizioni riguardo alla politica regionale.
Per sostenere tali progetti dovrete emettere le nuove obbligazioni europee, gli spesso evocati euro-bonds?
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È una soluzione che stiamo considerando, ma dobbiamo pensarla in un modo che sia accettabile, perché ci sono delle forti – e note – resistenze da parte di alcuni Stati membri. Stiamo comunque considerando questa possibilità, ma in questo momento non posso anticiparle quella che sarà esattamente la nostra proposta. Personalmente credo che in un tempo come quello che stiamo vivendo oggi, dove ci sono fortissime difficoltà per i budget di tutti gli Stati membri, ci sia il bisogno di trovare modi nuovi e innovativi per finanziare gli investimenti in Europa. Le euro-obbligazioni potrebbero essere una delle possibilità, ma non posso parlare ora della nostra proposta concreta.
Un altro problema riguarda l’atteggiamento che la Ue vuole tenere verso quegli stati, come Spagna o Belgio, che sono sottoposti a forti movimenti indipendentisti. Continuerete a restare spettatori neutrali di queste dinamiche?
I membri dell’Ue sono gli Stati. Noi rispettiamo completamente la loro integrità. Sono loro che devono decidere in che modo organizzarsi internamente. Non sta a noi, all’Europa, di intervenire in tali questioni, perché rispettiamo il principio di sussidiarietà. In Europa ci sono stati organizzati secondo modelli diversi, da quelli, passatemi il termine, molto unitari, fino a quelli federali. Non tocca a noi, alle istituzioni europee, dire che un paese debba avere una certa organizzazione, o pronunciarci sull’integrità degli Stati membri. Rispettiamo pienamente quanto viene deciso al loro interno.
Il riconoscimento da parte della Ue dell’indipendenza auto-proclamata del Kosovo potrebbe rappresentare una spinta ai movimenti indipendentisti?
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Abbiamo sempre detto che quello del Kosovo è un caso a sé stante. Comunque, sul Kosovo gli Stati membri hanno deciso da soli. La maggior parte dei Paesi europei ha riconosciuto il Kosovo, ma non tutti, e, proprio perché si tratta di riconoscere o non riconoscere l’indipendenza di un altro stato, esso è un diritto che appartiene agli Stati membri.
L’ultima questione riguarda l’allargamento. Il processo di ingresso della Turchia in Europa è fortemente rallentato rispetto a quello che i primi trattati di partenariato lasciavano pensare. Forse parlare di Turchia era prematuro? Non è meglio cominciare ad allargare l’Europa includendo i Balcani?
Quello che posso dire su questo tema è che non mi piace fare generalizzazioni. Il prossimo Stato membro della Ue quasi sicuramente sarà la Croazia. Il suo processo di integrazione è molto avanzato, i negoziati stanno progredendo molto bene. Ora, l’accesso di altri paesi (siano essi balcanici, la Turchia o l’Islanda) dipende da una parte dal rispetto da parte di questi stati dei criteri richiesti dall’Europa, e dall’altra dalla possibilità che noi abbiamo di integrarli. Quindi non posso proprio vincolarmi ad alcuna scadenza: non vedo come potrei sostenere che uno stato diverrà membro dell’Ue prima di un altro. Quello che credo è che noi dobbiamo tenere la porta aperta a coloro che rispettano i criteri europei, e che aspirano ad unirsi all’Unione. Poi, in futuro, decideremo chi di loro può concretamente unirsi a noi.
E tra i criteri imposti dall’Europa ci sono anche quelli culturali?
Sì, ci sono anche i criteri culturali. Ma non nel senso di escludere qualcuno solo perché ha una qualche differenza culturale dagli altri; bensì, criteri culturali come rispetto per culture differenti. L’Europa si basa sulla diversità: come ben sapete, il nostro motto è “uniti nella diversità”.