Si è conclusa ieri la visita di stato di Benedetto XVI nel Regno Unito. Il sussidiario ne ha fatto un bilancio con Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso. Una visita storica a tutti i livelli, dice Magister: sul piano dei rapporti tra le chiese e per la grande lezione di cristianesimo ispirata dal cardinale Newman, beatificato ieri dal Papa nel Cofton Park di Birmingham. Le strumentalizzazioni sugli abusi? Inconsistenti.



Benedetto XVI ha concluso ieri un viaggio molto atteso e altrettanto temuto alla vigilia, per il rischio di un clima di generale freddezza e di gravi contestazioni contro la sua persona. Qual è il suo bilancio?

Registro una reazione al tempo stesso stupita e positiva in gran parte dei media inglesi. Gli stessi organi di stampa che per mesi avevano preparato questo viaggio con accentuazioni polemiche molto forti, hanno poi realisticamente dovuto notare che le loro previsioni sono state in qualche modo rovesciate da quello che Benedetto XVI ha detto e fatto concretamente in questo pochi giorni.



Abbiamo assistito al primo incontro ufficiale, dai tempi dello scisma, di un Papa con un sovrano britannico. È un incontro che farà storia?

Certamente, quell’incontro è una novità e come tale lascia un segno di cui possiamo già fin d’ora misurare l’importanza. Il Regno Unito si caratterizza per una rottura religiosa che si è consumata alcuni secoli fa proprio nei confronti del papato di Roma, e per l’instaurazione di una chiesa autocefala, la cui amministrazione e gestione temporale era addirittura affidata al monarca. Questo tipo di rottura, avvenuta secoli fa, è stata in qualche modo «risanata». Da qui in poi sono soltanto le idee che contano, non ci sono più ostacoli storici o istituzionali che blocchino un dialogo fecondo tra la Chiesa di Roma e la società inglese. Ma la visita di stato e l’incontro con Elisabetta II non deve togliere nulla a quello avvenuto nella Westminster Hall.



Proprio nella Westminster Hall, dove venne processato Thomas More, il Papa è tornato sul ruolo della religione nello spazio pubblico.

E lo ha fatto appunto davanti ad un consesso di altissimo livello di politici, economisti, religiosi e uomini di cultura, in un luogo altamente simbolico per la cultura e la storia britanniche. Anche questo è stato un fatto di portata storica.

Riflettendo sul «giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico», il Papa si è chiesto dove si fondano «le norme obiettive che governano il retto agire». Una domanda scomoda, nel paese forse più libertario d’Europa.

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La risposta del Papa è importantissima, perché dice che le norme fondanti che possono governare la comunità civile sono «accessibili alla ragione» prescindendo dal contenuto della rivelazione. Benedetto XVI ha tolto di mezzo un equivoco, quello secondo il quale uno stato moderno, perché moderno, non può essere in grado di reggersi su norme incontrovertibili. La tesi del Papa è esattamente opposta: la società civile ha queste regole e le può raggiungere con le sole forze della ragione.

 

E la Rivelazione che cosa ci sta a fare, se la ragione da sola è già in grado di raggiungere i fondamenti?

 

Il Papa ha confermato quello che dice da anni e ha ripetuto testualmente lo stesso schema messo in campo al tempo del suo dibattito pubblico con Jürgen Habermas, e cioè il ruolo reciprocamente purificatore di fede e ragione. È vero che la ragione può raggiungere da sola i fondamenti del vivere civile, ma con molte difficoltà e ostacoli; la religione può aiutare la ragione in questo compito e purificarla dalle tendenze disastrose che il ’900 ha sperimentato in modo drammatico. Viceversa la ragione può aiutare la religione a purificarsi dalle tendenze fondamentaliste. Quello tra ragione e fede è la vera «offerta di dialogo» lanciata simbolicamente da Benedetto XVI nella Westminster Hall.

 

Il Papa stesso teneva molto a questo viaggio per presenziare alla beatificazione del cardinal Newman. Perché la sua figura è così importante oggi per Benedetto XVI?

 

Egli seppe individuare problemi e compiti che sono tuttora aperti: in particolare il Papa ha ricordato la sfida di quello che Newman chiamava liberalismo e che oggi si chiama relativismo, cioè l’incapacità di tanta cultura attuale di darsi un orientamento, l’essere senza punti fermi. Contro questo smarrimento importante di tanta parte dell’umanità moderna Newman ebbe una capacità diagnostica ed elaborativa assolutamente efficace.

 

Non ultimo il ruolo della coscienza…

 

Sì, perché secondo Joseph Ratzinger, Newman è probabilmente il pensatore che dopo Agostino più ha saputo capire il cuore dell’uomo. Nell’odierno dominio della soggettività Newman dà alla coscienza un ruolo assolutamente centrale, strettamente connesso e anzi «attaccato» per natura alla ricerca della verità. È il binomio coscienza-verità quello che caratterizza il pensiero di Newman, e che Benedetto XVI vuole ripresentare come fondamentale per l’uomo d’oggi.

 

Dopo questo viaggio qual è lo spazio di un lavoro comune tra Chiesa cattolica e Chiesa anglicana?

 

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Quello che Benedetto XVI ha indicato nel messaggio rivolto al termine dell’incontro col primate anglicano Rowan Williams. Il Papa ha evitato i tradizionali punti critici del rapporto tra anglicanesimo e Chiesa romana, per mettere al centro l’esigenza che può essere affrontata insieme da queste due Chiese, e nella quale possono trovare nuova unità. L’esigenza è quella di parlare insieme al mondo presentando Gesù Cristo in modo veritativo e senza equivoci.

 

Nessuna «terza via» dunque?

 

No. Il mondo di oggi ha bisogno di vedersi aprire una porta a Dio e Cristo è la Persona che Vi conduce l’uomo. Le Chiese non hanno altro compito che questo, predicare la Sua Persona. È questo il cammino comune che le due Chiese possono fare insieme, e su questo si è capito che il primate anglicano concorda in pieno. Sono queste le vere questioni, molto più di quelle di carattere ecclesiastico istituzionale che dividono i due campi e che rendono difficoltoso ciò che c’è all’interno della comunione anglicana.

 

Va in secondo piano cioè se sia o meno favorita da Roma una componente dell’anglicanesimo invece di un’altra.

 

Certo. Benedetto XVI, nei confronti dei numerosi anglicani che bussano alla porta della Chiesa di Roma chiedendo quasi di entrare, è all’opposto dell’atteggiamento di chi vorrebbe «incassare», veder aumentare la quotazione numerica. Dicendo che è annunciare Cristo al mondo che crea la vera unità, fa di tutto per non suscitare o enfatizzare «corse» nella Chiesa anglicana per entrare nella chiesa cattolica. Una dinamica già presente e alimentata dal timore, presente in alcuni importanti componenti della comunione anglicana, di non vedere la loro Chiesa all’altezza del compito, di vederla slegata dalla grande tradizione delle origini cristiane, per inseguire modelli istituzionali e organizzativi che comprendono i pastori donne e i matrimoni gay.

 

Benedetto XVI si è nuovamente commosso incontrando le vittime degli abusi sessuali. Coma valuta il modo in cui in Gran Bretagna il Papa si è posto verso gli errori commessi dalla Chiesa?

 

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Non vedo una svolta ma una sostanziale continuità nel modo di leggere e vivere quel grande dramma. Un dramma che interpella la Chiesa rendendola consapevole delle proprie debolezze, del peccato che è dentro tanti sui membri e che impone alla Chiesa di purificarsi.

 

Come spiega che gli errori commessi da esponenti della Chiesa che si sono macchiati di pedofilia in Gran Bretagna, là diventano un’obiezione ancor più forte alla Chiesa e alla fede?

 

In tutto questo c’è un aspetto paradossale: perché è vero che la stampa inglese si è fatta portatrice negli ultimi mesi di accuse sistematiche alla Chiesa per i suoi scandali, ma il Regno Unito propriamente detto è uno dei luoghi in cui la Chiesa cattolica in modo più serio ha visto il problema e ha fatto di tutto per bloccarlo. Prima e meglio di altre Chiese, compresa la vicina Chiesa irlandese, e infatti la chiesa inglese da una decina d’anni ha messo in campo un’operazione di pulizia così energica che ha fatto quasi sparire il fenomeno, di cui sui giornali, a leggere bene, non si trova praticamente traccia. L’opposizione non ha argomenti, e si spiega col fortissimo grado di secolarizzazione e di pregiudizio raggiunto.

 

 

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