L’incontro dei capi di Stato europei a Bruxelles è diventato una variazione sul tema dei rom. La tempesta scoppiata mercoledì scorso dalle dichiarazioni del Commissario europeo alla Giustizia, Viviane Reding, in cui paragonava lo sgombero dei campi di nomadi da parte del governo francese alle deportazioni della Seconda Guerra Mondiale non ha fatto che continuare negli ultimi giorni. Dalla Merkel a Berlusconi, passando per Zapatero e Barroso, tutti si sono pronunciati sul tema. Ripercorriamo i fatti di una vicenda cominciata oramai qualche mese fa.



L’assassinio del giovane rom Luigi Duquenet a metà luglio e i disturbi avvenuti a suo seguito a Saint-Aignan (Loir-et-Cher) e a l’Isère sono stati la scintilla che ha fatto scoppiare di nuovo, il luglio scorso, l’eterna polemica sui rom e i nomadi. Questa volta, invece, la risposta del governo francese non è stata un’avvertenza ma un’iniziativa politica destinata, parole di Sarkozy, a «portare avanti una lotta implacabile contro la criminalità». Dopo le riunioni di fine luglio si decise di espellere i rom dei campi irregolari e di sgomberare più di 300 accampamenti illegali nel giro di tre mesi. Detto e quasi completamente fatto.



Quest’iniziativa politica ha destato numerose critiche. Tra i primi a contestare furono le associazioni di gens de voyage e la sinistra francese. Entrambi accusarono l’esecutivo di portare avanti una politica ritenuta «razzista e discriminatoria» e destinata a tirar via lo sguardo dai problemi interni del governo di Sarkozy riguardo l’affaire Bettencourt e le accuse di finanziamento illegale del suo partito (UMP).

La polemica, nei primi giorni svoltasi esclusivamente in territorio francese, ha attaccato presto in altri paesi. Oltralpe, il ministro Maroni, in un’intervista del 21 agosto, dava ragione a Sarkozy e sosteneva, ricordando le espulsioni effettuate a Roma dal sindaco Veltroni nel 2007, che la Francia non aveva fatto che «copiare» l’esempio dato dall’Italia. Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei, gli rispondeva che «il governo italiano non può autonomamente decidere in riferimento a una politica europea che invece stabilisce sostanzialmente il diritto di insediamento e di movimento».



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A sua volta, nell’Angelus del 22 agosto a Castengandolfo, il Papa ha invitato nel suo saluto ai pellegrini di lingua francese, «a saper accogliere le legittime diversità umane». Il rientro dalle vacanze e la ripresa del corso politico hanno esteso il dibattito. Così, tra le varie dichiarazioni di organismi internazionali e associazioni, il 13 settembre, l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha dichiarato che la politica francese sui Rom esaspera «la stigmatizzazione dei rom e la loro estrema povertà».

 

Come abbiamo visto, invece, la polemica è esplosa in tutta la sua dimensione nel vertice dei capi di stato dell’Ue tenutosi a Bruxelles settimana scorsa. Dichiarazioni, controdichiarazioni, scuse, attacchi e smentite. Il fuoco incrociato di questi giorni, passata la bufera del gossip politico, ha messo in luce due problematiche.

 

Da una parte, come appuntava il Papa, ha rimesso in discussione le basi culturali di un’Europa sempre più incosciente di sé e sempre più incapace ad aver a che fare con la diversità. Dall’altra, ha aperto nuovamente il problema dell’articolazione delle normative europee nel contesto delle sovranità dei paesi membri. Come rilevava il filosofo André Glucksmann in un suo articolo pubblicato su Le Monde qualche giorno fa, «gli architetti di Bruxelles non hanno assicurato le condizioni pratiche per la libera circolazione degli europei (…) itineranti».

Vero, ma non è colpa solo di Bruxelles. E, d’altra parte, come ha scritto Mario Mauro, «non è più il momento degli scambi di accuse o delle strumentalizzazioni politiche, ma è davvero il momento di aprire una riflessione seria e concreta sulle misure da prendere per risolvere i problemi d’integrazione». Adesso si tratta di lavorare nel concreto perché la normativa europea (2004/38/CE) sia realmente applicata nel contesto delle sovranità nazionali, delle regioni e dei comuni implicati più da vicino nel problema. Cooperare perché tale normativa arrivi a essere non solo qualcosa di giusto, ma anche qualcosa di viabile.