La sua latitanza dura da 20 anni. Su di lui grava una sentenza di condanna all’ergastolo passata in giudicato per l’omicidio, negli anni di piombo (quando era un esponente dei Pac – Proletari Armati per il Comunismo) di quattro persone. Eppure la Francia, dove ha vissuto per anni, solo nel 2004 si è decisa a concederne l’estradizione. Anche allora, tuttavia, l’Italia non è riuscita a ottenere giustizia. L’ultimo atto di Luiz Inácio da Silva da presidente del Brasile, dove Battisti è fuggito – ottenendovi lo status di rifugiato politico – è stato il rifiuto, il 31 dicembre, di consegnarlo al nostro paese. In Italia, nel frattempo, tra polemiche e indignazioni, ministri e diplomatici si interrogano sul da farsi, e su come riportarlo nelle nostre carceri senza guastare i rapporti con il Brasile. Il sussidiario ha chiesto a Gianni De Michelis di commentare la vicenda.
Perché è diventato cosi difficile assicurare Battisti alla giustizia italiana? La particolarità di questo caso è giuridica, storica o politica?
Credo che, anzitutto, la prima domanda da porre sia: “Come mai, visto che Battisti è in fuga da 20 anni, il caso esplode adesso? Di fatto è stato latitante per anni (anche se con diritto d’asilo) in Francia. Ma nessuno ha mai pensato di “far guerra” a Parigi.
Perché, allora, il caso riemerge adesso?
Credo che il caso sia esploso in Italia per ragioni di politica interna. C’è l’interesse, da parte di alcuni settori politici a cavalcare questa situazione; così come in passato ne sono state cavalcate altre, seppur differenti.
Quali?
Mi riferisco, ad esempio, alla strage di Bologna o a quella di Ustica. Abbiamo visto persone elette in Parlamento sulla base di queste evidenti strumentalizzazioni politiche. D’altra parte, quando sento alcuni esponenti del governo attuale tuonare sulla vicenda di Battisti oggi, mi pare chiaro che lo facciano per ragioni che riguardano la politica interna.
Dunque si tratta solo di motivazioni “locali”?
Ribadisco: mi sembra strano che il caso emerga adesso rispetto ad una situazione che dura da vent’anni. Se c’erano delle ragioni, bisognava che riguardassero l’azione del governo del Paese nell’arco di tempo. Si sono succeduti esecutivi di centrodestra e di centrosinistra, e il problema lo avremmo dovuto avere, principalmente, con la Francia. Eppure, in sede europea, all’interno della quale la nostra relazione con la Francia è di rilevante interesse, la questione non è mai stata seriamente sollevata. Ci svegliamo solo adesso.
Secondo lei, quindi, perché?
Nonostante tutto, abbiamo ritenuto il nostro rapporto con la Francia, nell’ambito dell’Unione Europea, prevalente. E’ stato lasciato uno spazio, poi, all’interno della dottrina Mitterand, in cui in casi come questo si potevano avere valutazioni differenti. Tutto ciò, pur mantenendo il nostro punto di vista, lo abbiamo di fatto accettato, così come i francesi hanno, in seguito, parzialmente modificato le proprie impostazioni.
L’Italia, a suo avviso, sta commettendo degli errori nel quadro complessivo della vicenda?
Credo di no. Ho ritenuto molto appropriata la posizione tenuta dalla Farnesina fino a questo momento. Credo che l’approccio corretto consista nello sfruttare fino in fondo tutti gli strumenti della legalità secondo un’ottica legata a due logiche: quella dei trattati di cooperazione giudiziaria tra Paese e Paese, e quella della giustizia internazionale, al fine di ottenere che prevalga la costituzione di una sorta di stato di diritto globale. E’ una strada che negli ultimi vent’anni è andata via via consolidandosi; basti pensare ai casi di numerosi criminali internazionali. “Dichiarare guerra” al Brasile, invece, o attuare iniziative di rappresaglia mi sembra assolutamente ridicolo e infantile.
I nostri rapporti con il Brasile rischiano di compromettersi?
Se l’approccio che finora la Farnesina ha adottato sarà mantenuto, no.
Come mai, in ogni caso, il Brasile non ci concede l’estradizione?
E’ evidente una componente domestica relativa al punto di vista di un Paese in cui gli attuali equilibri di potere corrispondono ad una situazione molto particolare: l’evoluzione delle vicende brasiliane è andata in una direzione per cui quelli che fino a 30-40 anni fa erano considerati terroristi, ora si trovano al potere e hanno il sostegno della popolazione. La sensibilità, lì, è evidentemente è diversa da quella italiana.
Il ministro degli Esteri brasiliano ha detto che l’Italia non assicurerebbe a Battisti le dovute garanzie costituzionali. Perché un tale atteggiamento?
Il ministro degli Esteri brasiliano deve trovare delle ragioni per spiegare una decisione presa da quello che era il suo presidente fino a pochi giorni fa.
Non crede che l’Unione Europea dovrebbe mettere in azione, quantomeno iniziative di moral suasion?
Mi pare difficile che lo faccia; il problema, infatti, è fondamentalmente intra-europeo, dato che prima di fuggire in Brasile Battisti è vissuto in Francia per anni. Giustamente, tuttavia, è stata evocata la Corte europea di Strasburgo, nell’ottica, appunto, della costituzione di uno stato di diritto globale.
Come andrà a finire?
Non ne ho la minima idea. Può succedere che il sistema giuridico brasiliano o la Corte suprema possano indurre la nuova presidenza a tornare sulle proprie decisioni. Può succedere anche che questo non avvenga.
(Paolo Nessi)