Carissimi,

È passato un anno. È incredibile a pensarci: un anno dal terremoto, un anno dal giorno che ha cambiato per sempre la nostra vita, il nostro Paese, le nostre giornate, il cuore di ciascuno di noi. A guardarsi indietro, si ha il solito doppio effetto: da una parte sembra ieri che ci svegliavamo in un incubo mai visto prima, dall’altra sembra passato un secolo, tanto ci sentiamo emotivamente cambiati da allora.



Eppure è davvero un anno, a pensarci bene: sono stati per ciascuno di noi i 12 mesi più difficili della nostra vita e anche quelli che ci hanno cambiati di più, che hanno lasciato un segno indelebile in ciascuno di noi. Oggi le ferite del 12 gennaio 2010 non sono ancora rimarginate. Forse sanguinano meno, ma certo non sono guarite. In tanti ci dicono che ci vorrà del tempo, e noi ci sforziamo di crederci: che il tempo pian piano le guarirà, ma per ora ci sentiamo ancora con il cuore ferito.



Questi giorni del primo anniversario del terremoto sono per noi prima di tutto i giorni della memoria, della preghiera e del ricordo. Pensiamo ai nostri cari, agli amici, ai colleghi, ai vicini di casa, ai conoscenti di sempre. Pensiamo a tutti quelli che non ce l’hanno fatta. Come il giovane Junior, mediatore di pace dell’équipe di Avsi a Port-au-Prince che è morto sotto le macerie della sua casa.

Per tante persone lontane, 230.000 morti sono una cifra assurda e irreale. Per noi invece sono i 230.000 volti delle persone a cui abbiamo voluto bene e che non ci sono più, portate via tanto drammaticamente, in un soffio, da questa immane catastrofe. E così ricordiamo i giorni in cui vagavamo tra le macerie nella nostra città ormai irriconoscibile, senza avere notizie di tanti a cui volevamo bene, incontrando nel nostro andare solo dolore e sofferenza e morte.



Ma pensiamo anche a tutte le persone che abbiamo visto soffrire e morire nelle settimane e nei mesi successivi, i bambini prematuri che non ce l’hanno fatta, le giovani mamme morte per parti in condizioni terribili, i bambini malnutriti portati via in una notte da una banale febbre senza che avessimo un antibiotico per loro, e poi ancora recentemente i malati di colera che non abbiamo potuto salvare in tempo. Queste persone per noi oggi non sono cifre – terribili nella loro drammaticità – ma sono volti, i volti delle persone a cui abbiamo voluto bene.

 

Ci ritroviamo fra colleghi e amici, ci raccogliamo e preghiamo ciascuno a modo suo, ma insieme, perché questa tragedia ci ha insegnato anche che le nostre differenze di credo e di religione e di corrente religiosa, sono piccolezze senza significato di fronte alla sofferenza e all’immenso valore della vita. Ci sentiamo uniti e ci facciamo coraggio, per ricordarci l’un l’altro che il dolore non deve vincere sulla speranza, che lo scoraggiamento non deve prendere il sopravvento.

 

Nel nostro anno terribile, abbiamo scoperto anche la grandezza della speranza che ci ha spinti sempre a guardare al domani, il coraggio di chi ha saputo rialzarsi e ricominciare, il valore dell’amicizia e della solidarietà. Il trionfo della vita sulla morte, sempre. Oggi, nella nostra città ancora martoriata, distogliamo gli occhi dalle ferite dei crolli e dei cimiteri, per fissarci invece sui piccoli e timidi cantieri, sulle carriole che percorrono su e giù le nostre strade, sugli umili mercati che raccontano una vita che riparte dal basso. Noi oggi vogliamo vedere il domani di Haiti.

 

Abbiamo imparato tanto da quest’anno. Grazie alla straordinaria solidarietà di tutti gli amici di Avsi abbiamo soccorso la nostra gente fra le macerie, abbiamo costruito campi per decine di migliaia di persone, abbiamo portato milioni di litri di acqua e imparato come trattare i nostri piccoli bambini troppo magri per vivere, abbiamo permesso a oltre 2.000 mamme di salvare i propri piccoli semplicemente allattandoli, abbiamo permesso che ognuno dei nostri 15.000 bambini trovasse un posto dove sorridere e giocare e vivere momenti sereni.

Abbiamo fatto mille lavori e imparato con umiltà che non sappiamo fare tutto, ma che possiamo provarci. I nostri insegnanti hanno fatto scuola all’aperto, poi sotto i teloni, poi in tenda, poi sotto le tettoie. Ora sono dentro le loro classi, con i nostri quasi 5.000 bambini che nonostante tutto hanno terminato l’anno scolastico. Orgogliosi di esserci. Le nostre infermiere hanno cercato i bambini malnutriti di maceria in maceria, poi dentro le tende bianche in mezzo ai campi rifugiati, poi nelle strutture provvisorie, e ora finalmente 15.000 tra mamme e bambini hanno una struttura vera dove rivolgersi.

 

Ma il risultato piu grande per noi è che oggi come il 12 gennaio 2010, la nostra gente la mattina si alza e trova il coraggio di cominciare, il coraggio di coltivare la speranza nel futuro. È questa la loro forza, e questa la nostra certezza per il domani.

 

Un pensiero speciale agli amici che non ci sono più e al collega Junior. Noi non dimenticheremo il giorno in cui Haiti ha insegnato al mondo il coraggio della speranza.

 

(Fiammetta Cappellini)

 

In Italia per non dimenticare Haiti AVSI con AGIRE è a Roma il 12 gennaio alla Casa del Cinema, ore 10:30, Villa Borghese, Largo M. Mastroianni, 1. Maggiori info su www.avsi.org