Il 19 gennaio il presidente cinese Hu Jintao sarà a Washington per incontrare Barack Obama. Sono molti i punti in agenda, a cominciare dalle politiche monetarie di Pechino e Washington, senza rinunciare alla stabilità del quadro economico nazionale ma senza compromettere l’equilibrio globale. «La Cina – afferma Francesco Sisci, editorialista del Sole 24 Ore – è interessata a salvare e sostenere l’area dell’euro, e ad incoraggiare pure l’unificazione europea, che funzionerebbe da contrappeso anche politico per gli Usa, ma non a cambiare radicalmente il registro attuale politico ed economico minando il dollaro». A Washington è in gioco il riequilibrio strategico tra le due potenze, dopo i parziali e non del tutto felici esiti degli incontri precedenti.
È imminente il vertice a Washington tra Obama e Hu Jintao. Qual è la sua importanza nel quadro dell’evoluzione dei rapporti bilaterali?
Si tratta di rimettere in piedi il rapporto Usa-Cina che è quasi deragliato nel 2010 dopo il successo solo parziale del vertice Hu-Obama a Pechino nel novembre 2009 e il fallimento della riunione di Copenhagen sull’ambiente. L’importanza di questo rapporto è cruciale per tutti e soprattutto in questo frangente per la ripresa economica mondiale. L’America è la maggiore economia del mondo e la Cina è quella che da sola ha contribuito di più alla crescita globale: nel 2009 e 2010 ha prodotto circa il 50 per cento della crescita economica mondiale. Senza un accordo stretto tra i due paesi l’economia del mondo può andare a pallino, senza contare il rischio di medio e lungo termine di una rotta di collisione tra la maggiore potenza attuale, gli Usa, e la maggiore emergente, la Cina.
Che cosa si attende l’amministrazione cinese da questo vertice e che cosa punta ad ottenere?
La Cina ha ben chiaro l’importanza di un rapporto speciale con gli Usa, è una questione pratica ma anche ideale. Gli Usa oggi hanno il quasi monopolio delle maggiori tecnologie che servono a innovare l’industria cinese. Senza di esse la Cina rischia di trovarsi alle prese con un grave “collo di bottiglia” nella crescita nei prossimi anni. Uno degli aspetti più concreti riguarda l’ambiente: Pechino ha bisogno di tecnologie per migliorare l’efficienza energetica, cioè deve diminuire l’inquinamento senza diminuire la crescita. Queste tecnologie vengono in pratica tutte dagli Usa o da una luce verde americana.
Ha parlato anche di un aspetto «ideale»: cosa intende?
L’America è stata per trent’anni il faro che ha guidato la crescita cinese, la Cina ha ancora bisogno di questo faro perché la sua crescita non è finita e non è psicologicamente e politicamente pronta per fare il leader del mondo.
Si teme che dalla Cina possa partire un’ondata inflattiva capace di un contagio globale. Basteranno le azioni della banca centrale cinese a tenere sotto controllo la situazione?
Questo è un problema cruciale enorme ed è il frutto in realtà dello sviluppo di questi ultimi due anni che è stato diverso nelle maggiori regioni del mondo. In Cina il potente piano di sviluppo varato alla fine del 2008 ha rapidamente portato il paese fuori dalla crisi, ma oggi è arrivata l’inflazione quando segni di inflazione mancano in Usa ed Europa, dove ce ne sarebbe bisogno, e dove la Fed ha bisogno di una politica espansiva per far crescere investimenti e consumi. D’altro canto un raffreddamento troppo drastico ed effettivo dell’economia cinese potrebbe anche essere un freno alla ripresa globale, a cui la Cina ha tanto contribuito in questi due anni. Occorrerebbe quindi un coordinamento maggiore tra Usa e Cina per raffreddare la crescita cinese ma non congelare quella del mondo e non esportare inflazione cinese. Questo è molto difficile, bisogna saperlo, anche perché le misure di intervento economico nazionali già da sole non hanno effetti certissimi, quelle coordinate a livello internazionale sono ancora più incerte, anche se ora sono di certo necessarie.
Verso la fine del 2010 si è parlato di guerra tra valute e in particolare tra yuan e dollaro. Che 2011 dovremmo aspettarci da questo punto di vista?
Qui il vertice sarà cruciale. O i due paesi trovano un accordo che riguarda la valutazione dello yuan e le esportazioni cinesi, oppure rischiamo una serie di attriti. Qui ci sono due aspetti, uno di breve l’altro di lungo termine. Nel breve bisogna capire il livello di cambio tra yuan e dollaro positivo per entrambi i paesi, al tempo stesso l’America deve limitare le importazioni mentre la Cina limitare l’export. In medio e lungo termine bisogna capire se questo ordine economico mondiale basato sulla centralità del dollaro sia possibile da mantenere e a quali condizioni.
La Cina si è detta pronta ad aiutare l’Europa alle prese con il problema dei debiti sovrani. Questa mossa è stata interpretata anche in chiave anti-dollaro.
La Cina non è convinta di cambiare l’ordine basato sul dollaro. Esso le ha permesso di crescere bene e in fretta negli ultimi trent’anni: perché dovrebbe cambiarlo, cercando un ordine diverso che presenta molti rischi e incertezze, e di sicuro comporterebbe per Pechino maggiori responsabilità e costi più elevati? D’altro canto nel lungo termine la centralità assoluta del dollaro pare non sostenibile, la fragilità dell’euro attuale mette a rischio l’Europa, che nel complesso è la maggiore potenza economica mondiale. Un crollo dell’area dell’euro significa un crollo economico mondiale. La Cina è quindi interessata a salvare e sostenere l’area dell’euro, e ad incoraggiare pure l’unificazione europea, che funzionerebbe da contrappeso anche politico per gli Usa, ma non a cambiare radicalmente il registro attuale politico ed economico minando il dollaro. È quindi un piano delicato e di lungo termine in cui, e Pechino lo sa bene, ci sono anche altri protagonisti presenti, la Russia o il Giappone, o altri in crescita come India, Brasile, Sudafrica ma anche Arabia Saudita, che con le sue enormi riserve di petrodollari ha un peso enorme.
L’equilibrio geopolitico nell’area estremo orientale è stato messo in pericolo dalla recente iniziativa militare della Nord Corea. La Cina è riconosciuta come interlocutore più autorevole di Pyongyang: come intende giocare questo suo ruolo?
La questione coreana dovrebbe essere uno dei “doni” che Hu porterebbe a Obama. Qui è tutto molto complesso, come abbiamo visto più volte, ma nei giorni scorsi la stampa cinese ha rilevato che la stampa americana riconosce come l’atteggiamento duro del Sud abbia contribuito a esasperare le tensioni con il Nord. In qualche modo Pechino dice che c’è una crescente concordanza tra Usa e Cina sulla questione coreana e che parte delle difficoltà politiche di trovare un accordo con Pyongyang è anche dovuto alla disarmonia tra Washington e Seoul: quando a Seoul c’era un presidente “colomba” Kim Dae Jung, a Washington c’era un presidente “falco” Bush, ora è il contrario con Lee Myung-Bak e Barack Obama. D’altro canto la Cina non può fare troppa pressione su Pyongyang, perché altrimenti il Nord crolla e nessuno ha voglia di raccoglierne i cocci. Il fatto che il Nord Corea recentemente non abbai reagito alle manovre del Sud potrebbe essere un segno di speranza.